Passi la palla al compagno e sbagli di dieci metri.
Rincorri l’avversario e il fiato ti abbandona.
Provi a scappare sulla fascia ma le gambe non rispondono.
Chiunque abbia giocato a calcio sa che ci sono giornate in cui il nemico non veste l’altra casacca. La ‘giornata no’ esiste ed è il peggiore incubo che pende sulla nostra testa, prendendo forma nei secondi che precedono il fischio d’inizio. Una maledizione, un sortilegio che ti fa sentire tremendamente piccolo e fuori luogo. Svaniscono le certezze, le distanze si dilatano, il tempo sembra scorrere lentissimo. Questo è il lato oscuro del gioco più bello del mondo, una sfida a senso unico che va affrontata con il cuore che trema ma non cede, anche se siamo destinati ad uscirne sconfitti.
Forse è il tributo di dolore che il calcio pretende da tutti noi, la ricompensa per averci donato gioia e spensieratezza per tutta una vita. Una goccia di sangue per un destino da immortali.
Perché abbiamo imparato a crescere attraversando i carboni ardenti delle sconfitte più pesanti.