dagli inviati, Giacomo Brunetti e Matteo Lignelli
La struttura del settore giovanile e la voglia di raccontare una storia
Dal futuro del centro sportivo di Monteboro alle nuove prospettive della strategia giovanile: nelle stanze della casa dell’Empoli ogni giorno è quello giusto per fare programmazione.
Quando siamo entrati a Monteboro, l’obiettivo era capire come una città così piccola riuscisse ad avere identità e costanza nel rendimento del progetto instaurato. Il settore giovanile dell’Empoli funziona, eccome, e plasma la sua fortuna là dove i grandi club chiudono un po’ gli occhi. Gli azzurri sanno di non poter competere con le cifre del calcio di oggi, e dopo i 14 anni i migliori talenti sono impossibili da strappare alla concorrenza. Si lavora quindi sui piccolissimi: i calciatori del futuro entrano a Monteboro a 6,7 o 8 anni, e arrivano fino in Primavera quasi con gli stessi compagni. Si scovano i fenomeni prima di tutti gli altri. E si coltivano con sapienza.
La forza dell’Empoli è essere un’entità in cui tutte le figure sono riconoscibili, ma soprattutto raggiungibili. Ce lo ha confermato anche Rebecca Corsi, la vicepresidente: «Qui mio padre, il presidente, se la Prima Squadra non gioca di domenica, va a vedere i più piccoli, oppure gli Allievi. Se la Primavera gioca di sabato, lui va al campo. Si gode gli allenamenti di pomeriggio, scambia parole con le famiglie». La cura di ogni dettaglio, dalla scuola al cibo. All’interno di Monteboro c’è un convitto, c’è un tutor, ci sono tutti i comfort di cui un giovane ha bisogno. La famiglia Corsi investe ogni anno un milione di euro per mantenere e migliorare il centro sportivo. Nella stagione 2020/2021, la Primavera si è laureata campione d’Italia, e ha partecipato quest’anno alla Youth League per la prima volta nella propria storia. Come sempre, non è finita: «Nei 2004, nei 2006, nei 2007… anche lì c’è robina bona, come dice mio padre».
La passione innata per il vivaio porta presidente e dirigenti a confrontarsi con i genitori, a relazionarsi con tutti. Questa è una garanzia: vederli parlare con le famiglie, essere presenti. «Oggi i centri sportivi li hanno tutti, e sono sempre più spettacolari. Noi dobbiamo essere bravi nel concreto. Perché oggi i bambini scelgono Empoli, e vogliamo che continuino a farlo anche in futuro, proprio per le nostre caratteristiche», ci spiega Rebecca, consapevole della corsa all’oro e del ruolo che il suo club dovrà assumere nel prossimo futuro.
«Non dobbiamo mai perdere la disponibilità verso le famiglie», questo il primo dogma, valore aggiunto di un modello definito «isola felice».
Non c’è pesantezza, a Empoli i bambini-calciatori si aspettano, gli si dà il tempo per crescere senza creare aspettative, né in positivo né in negativo. «Gli lasciamo vivere i loro momenti», l’importante è quello che viene fatto nel percorso. L’organigramma sportivo è composto da figure fidate e affidabili, che cambiano in base al rendimento. «Azzeccare le persone è importante, non possiamo permetterci di sbagliare profilo sui più piccoli», perché a Empoli «si lavora attraverso la competenza e la passione. Da noi non si viene per soldi, ma per una storia da raccontare e per quello che già abbiamo raccontato». Anche perché negli ultimi anni, uscire da Empoli è come uscire dalla Bocconi, che tu sia un calciatore o un allenatore.
Investire sulle strutture è un altro punto fondamentale. Con le nuove richieste televisive del campionato Primavera 1 e i diktat della UEFA per la Youth League, la Primavera si è divisa per le partite tra l’impianto di Petroio (Vinci, vicino Empoli) e lo stadio Castellani, mentre tutti gli allenamenti rimangono a Monteboro, suddivisi tra gli 11 campi a disposizione. «Abbiamo preso in concessione Petroio – ci spiega Rebecca Corsi – e lo abbiamo rivalutato, come da accordi. L’obiettivo è tornare a giocare a Monteboro, e utilizzare lo spazio occupato dall’attuale Sussidiario come parcheggio del nuovo stadio», un iter che non sarà breve ma porterà i grandi e i ragazzi a lavorare fianco a fianco come in altri Paesi europei.
Da Empoli sono passati non solo grandi calciatori, ma negli ultimi 20 anni si sono formati diversi allenatori. Empoli come cattedra per spiccare il volo. Due su tutti hanno segnato l’esperienza personale della vicepresidente. Da una parte Luciano Spalletti, dall’altra Maurizio Sarri. «Luciano nasce a Empoli, prima di tutto come amico di mio padre. Lui è stato mio padrino di battesimo, e testimone di nozze dei miei. Sono cresciuta sulle sue spalle, mi ha visto crescere in mezzo al pallone», si vogliono bene come zio e nipote. Con Sarri, invece, l’amore è stato soprattutto calcistico, perché gli anni empolesi del tecnico hanno cambiato per sempre la percezione della realtà e della qualità di essa: «Ha cambiato la nostra immagine, facendoci giocare bene e inserendoci nell’immaginario collettivo, valorizzando i giovani e il nostro prodotto. Oggi sembra scontato che l’Empoli debba vincere la B, ma non è così. E poi beh… la scaramanzia. Una gara tra lui e mio padre. Al ritorno in Serie A, per iniziativa marketing creammo i field box, allontanando le panchine dal campo. Ci urlava: ‘Allontanare le panchine ci costa 5-6 punti a fine stagione. Siete la rovina del calcio’».
Una tensione positiva in una società formata da persone che hanno ben chiaro l’obiettivo. Persone ambizione che devono avere la volontà di tenere vivo un valore in cui niente è scontato.
di Giacomo Brunetti