a cura di Giacomo Brunetti
Rivoluzione, organizzazione e idee: tre parole scontate, ma fondamentali per le ambizioni del Tre Fiori
A poche ore dalla sfida contro il B36, abbiamo intervistato il direttore generale del Tre Fiori, Giacomo Benedettini, che ci ha spiegato il funzionamento di una realtà come quella in cui opera.
Appena finiamo di parlare con Federico Dolcini, è tempo di spostarsi nella Repubblica di San Marino. Da Rimini, sede del ritiro del Tre Fiori, il direttore generale Giacomo Benedettini ci accompagna nella sede del club, nel Castello di Fiorentino, attigua al campo d’allenamento. Una palazzina che fa da contorno a un’immensa sala piena di trofei e ricordi. «Io ho sempre giocato qui. Ho fatto le giovanili nel San Marino Calcio e a 18 anni ho dovuto scegliere. Avevo capito che non potevo vivere di pallone e sono andato a studiare a Bologna. Contemporaneamente, qui al Tre Fiori, sono rimasto dal 2002 al 2018 come giocatore, e ho raccolto anche 8 presenze in Nazionale. Ne 2017, poi, è nata mia figlia, mentre tre anni prima mi ero fatto male al tendine d’Achille e il mio corpo iniziava a lanciarmi dei segnali. Era complicato proseguire, soprattutto gestendo un’azienda importante e impegnativa. Mi chiesero la disponibilità a entrare in società».
E qui avviene la svolta recente. «Il Direttivo mi ha dato fiducia, e insieme a Mauro Amici vice presidente, Aster Casali dirigente di lungo corso e agli altri membri, abbiamo creato un ottimo gruppo di lavoro. Ho portato idee diverse rispetto al passato, qui a San Marino. E insieme alla passione per il club dei dirigenti storici abbiamo ottenuto negli ultimi anni ottimi risultati, e non vogliamo fermarci. C’erano opportunità da cogliere: prima si puntava a prendere un calciatore icona e vincere grazie a lui, invece no. Il calcio si è evoluto e c’era bisogno di portare organizzazione». Una svolta fatta anche di scelte coraggiose: «Abbiamo preso un allenatore, Matteo Cecchetti, che veniva da 3 anni problematici con altre società. Ma io lo conoscevo e lo avevo visto lavorare. Doveva essere legato alla nostra terra: c’era la tendenza di prendere tecnici italiani. Puoi essere bravo quanto vuoi, ma se vieni qui e devi allenarti condividendo il campo con un’altra squadra, puoi stranirti. C’era bisogno di qualcuno che conoscesse le nostre dinamiche, anche lavorative».
Il primo, grande acquisto è stato Marco Bernacci, che di gol tra i professionisti ne ha segnati a valanga. «Venivamo da una stagione fallimentare e vincemmo tante scommesse, qualificandoci all’Europa League». Giacomo ha giocato in Champions League, in tre occasioni, tra il 2008 e il 2010. Grazie al passaggio del turno, l’anno dopo, arrivò anche un campione del Mondo come Christian Zaccardo. «Fu tutto rapido e incredibile. Con Bernacci firmammo su un tavolino al mare, il contatto era del nostro direttore sportivo Aster Casali. Lo prendemmo per sfinimento! Una domenica Aster mi chiama dicendo: ‘Andiamo al mare, secondo me è il giorno giusto e magari lo convinciamo’. Abbiamo preso la macchina e siamo volati, secondo me nemmeno lui ha capito bene cosa avesse firmato», mentre la storia di Zaccardo è una rincorsa: «L’ho scovato su Linkedin. Ci eravamo qualificati in Europa e volevamo forzare la mano. Gli scrissi in chat: ‘Dai, vieni da noi’. Aveva questioni in ballo con Malta, era titubante. Verso fine mercato, capii che potevamo farcela. Facemmo un ottimo lavoro di convincimento con Aster e alla fine ottenemmo il sì. Ebbe tanti problemi fisici, ma si impegnò per giocare 3 partite. Fu decisivo in finale di coppa, segnò anche un gol in semifinale. Leggeva l’azione 10 secondi prima degli altri».
Siamo andati a San Marino per capire come funziona una squadra locale. Come affronta le spese, i viaggi, come mixa la vita quotidiana con quella sportiva. «La Federazione incassa tutti i proventi delle coppe europee garantendo l’organizzazione delle partite in casa e trasferta ai club. Ad esempio, la Federazione ha incassato circa 300mila euro per la partecipazione al primo turno di Conference. Negli altri Stati non accade, e questo permette di dividere equamente l’incasso tra le società del campionato. Certo, non permette alla singola squadra di crescere, anche se negli ultimi anni la federazione ha introdotto degli accorgimenti meritocratici. Quindi chi vince ha un quid in più. Niente che sposti il divario economico: quello avviene con le idee e con gli sponsor. Noi non siamo tra i più ricchi del campionato. Tra idee e una rete di procuratori abbiamo creato una base solida su cui puntare. Puntiamo a far le cose ad un ottimo livello, vicino a quello professionistico».
Le intuizioni sul mercato sono alla base del successo del Tre Fiori. Sono alla base della sostenibilità del progetto e della crescita lenta, ma costante e organizzata. Un esempio è la storia di Andrea Compagno, ex promessa del Torino: «Veniva da momenti difficili tra Serie D ed Eccellenza. Firmò con noi e mise a segno 40 gol in 2 stagioni, andando successivamente in Romania. Ha fatto bene in seconda divisione e ora ha firmato un triennale in prima». Un altro caso è quello di Davide Massaro, proveniente dalle giovanili della Juventus: «Un ragazzo quasi perso che voleva smettere. Lo proposero a me e ad Aster, ma avevamo tesserato Compagno ed ero senza budget. Bisognava inventarsi qualcosa. Lo guardai su WyScout e capii che come toccava la palla lui, nessuno a San Marino lo faceva. Lo prendemmo per una cifra irrisoria, fece una grande stagione da 12 reti e 15 assist, volando anche lui in Romania».
Insomma, la forza delle idee vince su tutto. Giacomo prosegue: «Fare la squadra qui non è facile perché finiamo la stagione il 20 maggio e i ragazzi una volta finito pensano: ‘Vado al mare, non mi scocciate’. Ma c’è l’Europa da giocare». Qualcuno di voi potrebbe dire: perché non prendere 11 giocatori fortissimi, che però non potranno mai giocare in Europa, tesserarli e fargli fare i preliminari? La risposta è semplice: «Intanto, burocraticamente non è fattibile. Inoltre, noi vogliamo privilegiare chi quella coppa l’ha conquistata sul campo. Certo, prendiamo calciatori ad hoc che speriamo poi di trattenere, ma l’ossatura non cambia». Anche perché dovrebbero andare lì sostanzialmente gratis.
C’è quindi il problema del lavoro e della vita ‘normale’: «La Federazione ci tutela, intervenendo a sostegno dei calciatori-lavoratori con un gettone. Una sorta di rimborso pagato alle aziende che lasciano andare i propri dipendenti durante gli impegni calcistici. Questo vale per le imprese sammarinesi. Per chi viene da fuori è più difficile».
Stasera l’appuntamento con la storia. Giacomo Benedettini è rilassato, apparentemente. Ci mostra i trofei del Tre Fiori, i risultati e le fotografie più gloriose. Tutto bellissimo: per far splendere quel club, però, ci sono tanti sacrifici. Come il viaggio alle Fær Øer: «Semprini, il nostro portiere, lavora per un’azienda che fa camp per il Barcellona. Ho trascorso il venerdì pomeriggio per convincere il suo datore di lavoro a lasciarcelo. A due ore dalla chiusura delle liste, siamo riusciti a trattare per uno smart working dal Nord Europa!». Non è finita: «Un’odissea per andare lì. Con i figli piccoli, non sono riuscito a prendere parte a una trasferta di 5 giorni, vista anche la responsabilità lavorativa. Ci ero andato due anni fa. Quest’anno è stata un’epopea, siamo stati due giorni fuori per arrivare lì. Poi il B36 si è rifiutato di anticipare la partita alle 15, invece che alle 18, per permetterci di ripartire la sera stessa, quindi abbiamo trascorso il venerdì in giro per l’isola dato che non esistevano aerei che potessero riportarci sulla terraferma». Le Fær Øer sono una trasferta anomala: «Solitamente, andare a giocare fuori costa sugli 80mila euro complessivi. Lì molto di più. Non prendiamo più i voli di linea dopo il Covid: la federazione tutela nazionale e club permettendo ove possibile viaggi charter: ci hanno fatto una deroga per andare alle Fær Øer con un volo di linea dato che non esistevano voli!».
Quando sono andati in Lussemburgo, Benedettini ha chiesto il sostegno della federazione per organizzare un viaggio comodo per i calciatori: «Pensiamo di poter fare risultato e voglio privilegiare l’aspetto sportivo. Ho combattuto e il club ha ottenuto pieno appoggio dalla federazione per attuare un viaggio comodo e veloce. Volevamo fare le cose come si deve. Vaglielo a dire poi al mister che arriviamo lì alle 20 senza poterci allenare…». Il Tre Fiori ci credeva, e infatti ha passato il turno. «Non avevamo 4 giocatori a causa di impegni extra, non è sempre facile. Ho cercato di portare una mentalità aziendale, con contratti e budget di pianificazione, con una struttura di comunicazione, paghiamo puntualmente, poco o tanto che sia. Il passaggio è stato potente ma è stato uno step decisivo. Il Direttivo, i Dirigenti e lo Staff Tecnico lavorano uniti verso obiettivi chiari. Vincere».
Ci eravamo chiesti come fosse una realtà sammarinese. Abbiamo trovato un’organizzazione e un’accoglienza da professionisti. Nulla, tra mille sacrifici, è lasciato al caso. Si dà sempre di più per dare un senso di organizzazione all’esperienza. E poi è il calcio dei grandi, sono le competizioni europee, e lì funziona per tutti allo stesso modo. Che ti chiami Real Madrid, o Tre Fiori. Lasciamo la sede a Fiorentino e, in macchina, ci dirigiamo verso il San Marino Stadium. Manca poco.