Ciao Paolo,
come sempre sono arrivato con un attimo di ritardo. Mi è successo spesso dentro l’area di rigore di quei campi di periferia che hai saputo descrivere con ironica maestria, intento a marcare l’attaccante di turno che puntualmente è scivolato via e mi ha anticipato. Chi meglio di te sa cosa significa essere eternamente secondi. Facciamo terzi. Anzi, quasi ultimi. Avrei voluto farlo tempo fa, ma queste cose vanno così. Ti svegli una normalissima mattina di una pigra estate e sbadigliando ti cade lo sguardo sulla notizia che strilla al mondo che Paolo Villaggio non c’è più. E di corsa il pensiero vola al ragionier Ugo Fantozzi. Fa differenza il fatto che io e te non ci siamo mai conosciuti di persona, che non abbiamo mai pranzato insieme o passeggiato in riva al mare scambiandoci opinioni? Io credo di no. Scrutando dietro al velo dei tuoi occhi carichi di una malinconia malcelata, dal primo momento ho capito che hai preferito far ridere un mondo che in realtà aveva poco a che fare con la spensierata leggerezza dei tuoi personaggi.
‘È una palla altissima! È impregnata d’acqua!’
‘La respingo io di testa!’
‘Ma l’ha battuta lei, geometra?’
‘Beh, ho tentato la sorpresa…’
A memoria. Ho consumato le tue battute, ripetendole alla nausea. Tanto da farle diventare parte di me, dei miei ricordi più belli, custodite gelosamente perché prima o dopo sarei stato in grado di utilizzarle facendo colpo. Forse non mi è mai capitato di invitare una ragazza per colazione da “Gigi il troione”, ma non sai nemmeno quanto mi sarebbe piaciuto provarci almeno una volta. Ma vuoi mettere parlare di salivazione azzerata, manie di persecuzione e miraggi con i compagni di classe prima di un’interrogazione? O azzardare uno scherzo telefonico sfoderando un perfetto accento svedese? Beh, per me questa è l’unità di misura dell’immortalità.
Sei stato La Gazzetta dello Sport letta di nascosto alle spalle del capoufficio.
Sei stato la capacità di sorridere alla sfiga.
Sei stato la romantica voglia di non crescere mai.
Sei stato la risata dietro la lacrima.
Sei stato la sveglia, il caffè, la barba e il bidet.
Sei stato tutto.
Credo che ci siano infinite strade nell’universo della vita. Le mie hanno portato spesso a te. Oggi mi sento disorientato, perso. Credo che farò fatica ad addormentarmi, ma da domani si riparte. Con l’amarezza nel cuore, imprecando contro il destino che lentamente trascina altrove le anime migliori.
Carico la sveglia alle 7.51.
Al limite delle possibilità umane.