di Giorgi Sudakov
Quando per continuare a vivere devi scappare dentro un bunker e chiuderti lì dentro, con la tua fidanzata incinta di tua figlia, il tempo si ferma e le parole per descrivere quella sensazione volano via. Non dovrebbe essere questa la preoccupazione di un ventenne.
Entrare in un bunker, trovare un posto a sedere e sapere che non sai quanto durerà: dieci minuti, un’ora, di più. Tua figlia che nasce e si abitua al suono delle sirene che avvisano che un raid aereo potrebbe colpire la tua città.
A 20 anni si dovrebbe solo giocare a calcio, godersi la vita. Ma la realtà è diversa: siamo in tempo di guerra.
Cambia la vita, cambiano le prospettive.
I momenti nei bunker sono stati veramente terribili, impossibili da dimenticare.
Mi manca la capacità di rilassarmi: se nel tuo Paese c’è la guerra, sei sempre in tensione. Non c’è altra strada.
Giocare a calcio in tempo di guerra è una grande sfida ma stiamo dimostrando che il calcio non muore mai. La sfida più importante è farlo in sicurezza: le partite si disputano senza spettatori e, in qualunque momento, si possono accendere le sirene per avvisarci di potenziali bombardamenti, costringendoci a fermare e correre al riparo nei bunker. Tutti gli stadi ne hanno uno, all’interno o nelle vicinanze.
Questo influenza il nostro stato emotivo, ma anche il ritmo del gioco. Ci sono delle difficoltà logistiche: spesso dobbiamo percorrere lunghe distanze tra le varie città, soprattutto se dobbiamo giocare gare internazionali. È importante per noi rappresentare l’Ucraina a livello mondiale, sostenere a nostra volta i tifosi e dimostrar loro che, anche in certi momenti, il calcio ucraino è ancora vivo e in via di sviluppo.
Durante le nostre partite, c’è una sicurezza speciale con varie misure di prevenzione. Se le sirene iniziano a suonare, tutti quanti – dai calciatori allo staff, fino al personale – dobbiamo lasciare il campo e correre nei rifugi. La durata della pausa dipende dalle situazioni e la gara non può riprendere fin quando non arriva l’autorizzazione ufficiale. A volte, queste interruzioni, sono abbastanza lunghe da interrompere il ritmo del gioco, è una sfida nella sfida. La sicurezza è la priorità. Ma nonostante questo, il campionato continua: ci adattiamo cercando di non perdere la motivazione.
Purtroppo, a causa della guerra, alcune società ucraine hanno cessato di esistere temporaneamente o definitivamente. Uno dei casi più importanti è quello del Desna Černihiv, il cui stadio e centro sportivo sono stati distrutti dai bombardamenti. Sono scomparsi a livello professionistico.
Anche il Mariupol ha cessato di competere ad alti livelli a causa delle gravi distruzioni subite e dell’occupazione. Altri club, come il Metalist, affrontano gravi problemi finanziari e organizzativi, ma stanno cercando di recuperare. Ma continuiamo a vivere, alcune squadre sono state costrette a trasferirsi e disputare le loro partite in casa in altre città, mentre i giovani giocatori hanno avuto modo di mettersi alla prova e avere più spazio. Questo dimostra che anche nei tempi difficili, il calcio ucraino ha trovato un modo per andare avanti.
A 20 anni si dovrebbe solo giocare a calcio, godersi la vita e la carriera. Ma la realtà è diversa adesso: siamo in tempo di guerra. Cambia la vita nel suo complesso, cambia anche la prospettiva su tante cose. Inizi ad apprezzare ogni giorno ciò che hai, ti godi ogni opportunità che hai per entrare in campo e la possibilità di fare ciò che ami. Al tempo stesso, la guerra aggiunge motivazioni: non giochiamo solo per noi stessi, ma per il Paese e per le persone che ci sostengono anche nei momenti più duri. Vogliamo dare loro almeno una emozione positiva. Questo periodo ci renderà più forti, non solo come calciatori. Tutti noi sogniamo solo una cosa: la pace. L’Ucraina deve essere un Paese indipendente, sicuro e pacifico.
Quando è iniziato il conflitto, stavo aspettando una figlia. È stato il periodo più difficile della mia vita.
La guerra stessa è già un enorme stress di per sé, ma quando sai che tua figlia sta per nascere, le emozioni che vivi sono completamente diverse.
Le priorità diventano altre: c’era molta ansia, tanta incertezza. Non sapevamo cosa ci sarebbe stato dopo, dove sarebbe stato più sicuro andare.
Avevo un solo obiettivo: farli sentire al sicuro. Quando è nata mia figlia, ho avuto una motivazione in più. È venuta alla luce in mezzo a tutto questo caos. Mi ha dato la forza di continuare a combattere, sia nel calcio che nella vita.
Ora, ogni giorno inizia e finisce con il mio pensiero che va a lei, e questo mi aiuta a rimanere forte. Nonostante tutte le difficoltà, mia moglie ed io abbiamo trovato la forza di adattarci alla nuova realtà. Queste non sono le condizioni in cui si vuole crescere un bambino.
Quello che mi manca di più è la sensazione di pace e fiducia nel domani. Prima della guerra, la vita era molto più semplice. Potevi fare una cosa: pianificare il futuro. Pensarci.
Mi manca davvero tanto l’atmosfera negli stadi. Il calcio è un gioco per i tifosi e giocare senza di loro non è la stessa cosa. In Ucraina, le partite si svolgono attualmente senza spettatori per motivi di sicurezza: voglio vedere le tribune nuovamente piene, per sentire il sostegno dei tifosi e condividere le emozioni con loro.
Anche quando ti sembra di essere abituato alla guerra, nel profondo, vivi sempre in ansia.
Ma quello che voglio di più è smettere di preoccuparmi per i miei cari. Sapere che la mia famiglia è al sicuro, che non devo pensare costantemente ai loro rischi e alle notizie dal fronte.
Che la vita torni a essere normale, dove si può essere semplicemente essere felici senza temere il futuro.
Noi continuiamo a credere che tutto cambierà. Non sono queste le condizioni in cui vuoi crescere una figlia.
Continuiamo a credere che crescerà in un posto normale, che la pace verrà e che vivrà in una Ucraina completamente diversa.
Senza guerra.
Libera.
Felice.