Carmine Coppola, centrocampista ex Messina, si è raccontato in una lunga intervista a ilposticipo.it, nella quale ha anche ricordato il famoso aneddoto legato alla lite con Ibrahimovic.
PRESENTE – «Ho aperto una struttura di campi di calcetto al coperto e seguo il settore giovanile del Taormina. Poi gestisco la mia scuola calcio Football 24: mi diverto coi ragazzi, provo a portare i migliori nel mondo dei professionisti. Faccio calcio con passione, provo un amore viscerale per il pallone. Grazie al calcio ho fatto un salto di qualità nella mia vita: io vengo da una famiglia di operai e ne vado fiero. Il calcio mi ha permesso di arrivare a cose che probabilmente non avrei mai potuto avere».
INFANZIA – «Sono originario di Pollena Trocchia, praticamente sotto al Vesuvio. Manco da casa da tanto tempo: a 13 anni me ne sono andato a Vicenza. Quando ero piccolino ero vivace, un monello: ho fatto vedere i mostri ai miei genitori. Mio padre faceva l’operaio: nella sua azienda c’era una scuola calcio per i figli dei lavoratori, io ho iniziato a giocare a pallone così. A mio padre veniva sottratta mensilmente dallo stipendio la retta per farmi giocare. Dopo un anno però non ce la facevamo più: eravamo in cinque in famiglia e non riuscivamo a sostenere tutte le spese. Mio padre ha detto alla scuola calcio che non poteva più pagare la mia retta: loro però mi hanno preso lo stesso, volevano che giocassi. Ero un bravo calciatore ma un ragazzo folle, sempre al limite. Non ho mai avuto mezze misure».
LEGAME CON MESSINA – «A Vicenza nel 1998 ero uscito dal settore giovanile, ma sono stato allontanato perché ero un po’ folle. Mi hanno mandato per punizione al Cittadella in C1: lì ho fatto 34 partite da titolare al primo anno. Mi ha chiamato il Messina, ma ho detto ‘no’ perché non volevo andare a giocare sotto Vicenza. Poi mi sono rotto il ginocchio, il Messina ha vinto il campionato e mi ha preso anche se avevo i legamenti crociati anteriori e i collaterali saltati. Sono rimasto fermo per un anno. La società mi ha aspettato e mi ha fatto esordire: così è nato quell’amore che provo verso la città e verso questo popolo che mi ama anche se ho smesso da tanti anni. Sono orgoglioso di questo legame. Anche io avrei voluto vincere uno scudetto o una coppa, ma sono stato ricambiato da Messina con un amore che ad un giocatore capita poche volte di provare nella sua carriera. Questa città mi ha dato tante cose compresa mia figlia, àncora della mia vita».
DENARO – «I soldi sono importanti, ma penso che una persona debba vivere col giusto: il troppo storpia. Avere tanti soldi non significa essere felici. Ho smesso a 32 anni perché non avevo più voglia: avevo problemi alle ginocchia. Nella mia carriera ho subito gravissimi infortuni: pubalgia, rottura dei legamenti crociati anteriori e posteriori e del menisco collaterale. Ho deciso di smettere perché non volevo rubare soldi a nessuno, non ero più soddisfatto di me stesso. Mi avevano cercato molte squadre, ma ho detto ‘no’. Ho chiuso dove avevo iniziato: sono venuto al Messina in Serie D, ho fatto il mio ultimo anno poi ho smesso».
GRANDE CLUB – «Sì, un anno potevo andare in Inghilterra al Tottenham: avevamo programmato tutto, alla fine però ho preferito l’amore di Messina. Sono stato vicino al Napoli ai tempi della C1: volevo andarci perché sono tifosissimo del club, il mio cuore è diviso tra il ciuccio e l’Acr Messina, una delle due squadre che ci sono in città. Io sarò sempre tifoso dell’Acr: lo saró fino alla morte. In Italia avrei voluto giocare a Cagliari: avevamo preparato 5 anni di contratto poi però è saltato tutto».
MESSINA-COMO – «Tutte le partite sono state importanti per me. Vivevo al limite: ero un giocatore talmente fuori di testa che per me erano tutte delle finali. La partita col Como è stata emozionante perché abbiamo fatto il salto di qualità: tutti vorrebbero passare dalla Serie B all’Olimpo del calcio. Io mi sono sempre prefissato degli obiettivi: uno di questi era giocare una partita in Serie A, poi ne ho disputate 90 tutto rotto. Gli ultimi anni sono stati molto difficili, però sono felicissimo di aver giocato per tanti anni nella città in cui vivo».
STAGIONE 2004/2005 – «Avevamo fame, rabbia e cattiveria. Sono convinto che la gente che vuole giocare a pallone debba avere queste tre cose. Ai ragazzi che lavorano nella mia scuola calcio e nel settore giovanile dico sempre che devono avere passione, amore e rabbia per raggiungere obiettivi che per altri sono irraggiungibili. Oggi manca un po’ di fame: i calciatori stanno spesso sui social, vedo troppe dirette su Instagram».
SCONTRO CON IBRAHIMOVIC – «È stato uno scontro di gioco: in campo mi aveva insultato e ad un certo punto non ce l’ho fatta più, però tutto è nato ed è finito lì. Poi ci siamo rivisti nel sottopassaggio e mi ha dato la sua maglia. Considero Ibra un giocatore pazzesco, sono sempre stato innamorato della sua personalità».
PAURA DI IBRAHIMOVIC – «Io non ho mai avuto paura di nessuno. Lo so, sono un folle perché Ibra è un camion. Nella mia vita però non ho mai avuto paura di niente: nemmeno della morte. Ho solo paura di non vivere al massimo: sono convinto che qualsiasi cosa debba essere fatta sempre al meglio, poi come va va. Agli inizi della mia carriera dicevo che avrei voluto giocare in Serie A: se non ci fossi riuscito avrei giocato al massimo in Interregionale, l’importante per me era dare sempre il massimo. Non volevo avere rimpianti»
NAZIONALE – «Per un giocatore andare in Nazionale è il massimo, significa rappresentare il proprio Paese. Noi siamo una nazione fantastica, anche se nell’ultimo periodo calcisticamente l’Italia non ha rappresentato il top. Dobbiamo puntare sui settori giovanili. Abbiamo dei giovani importanti come Tonali e Caldara. Il Milan ha fatto un grandissimo acquisto prendendo Tonali, anche se non gli avrei messo adesso sulle spalle la pressione del Milan perché rischia di bruciarsi. Il Milan ha una casacca pesante: a San Siro in mezzo al campo ha giocato gente come Boban, Savicevic e Gattuso, mio idolo e grande allenatore del mio Napoli».
MONDIALE DEL 2006 – «Avevo ricevuto la pre-convocazione per Germania 2006 ma ho avuto la pubalgia ed è stata curata male: non riuscivo a camminare e non mi sono riuscito a presentare ai raduni. Lippi mi vedeva benissimo in quel centrocampo. Una volta mi ha detto che non guardava in faccia nessuno e che non gli interessava che mi chiamassi Coppola e che non giocassi in una big: stravedeva per me e pensava che fossi l’uomo adatto per ricoprire un certo ruolo. Mi sarei potuto divertire in Germania, ma il destino è tutto scritto».
SAN FILIPPO – «Lo faccio sempre quando rientro verso casa mia a Messina sud: è una cattedrale nel deserto, da dieci anni non vediamo la luce con l’Acr Messina. Spero che quest’anno la nuova proprietà e il presidente Sciotto possano riportare la società dove merita. Secondo me l’Acr può fare calcio a grandi livelli»