di Andrea Sperti
Lo abbiamo visto parare e spingersi oltre, quasi in cielo, pur di sventare le minacce avversarie.
Lo abbiamo visto difendere i propri colori con veemenza e coraggio, anche quando la situazione era compromessa e l’obiettivo difficilmente raggiungibile.
Lo abbiamo visto volare e respingere un colpo di testa preciso, in una finale di un Mondiale, ad un campione assoluto come Zinedine Zidane, mentre tutto il mondo era lì a guardare ed a stupirsi ancora per le sue parate.
Lo abbiamo visto giocare in Serie B, anche se non lo meritava, Ha scelto per la sua carriera, facendo prevalere il cuore ed un legame quasi indissolubile con una maglia e due colori che ormai lo rappresentano.
Lo abbiamo visto disperarsi per le finali di Champions perse, per le sconfitte dolorose e per un addio alla Nazionale che non è stato all’altezza di ciò che lui ha dato e fatto per quella maglia.
Lo abbiamo visto metterci la faccia, assumersi le proprie responsabilità, confessando una depressione che per anni non lo ha mai abbandonato, sebbene lui l’abbia sempre nascosta bene, rifugiandosi tra i pali di una porta, che è diventata praticamente la sua seconda casa.
Lo abbiamo visto per la prima volta il 19 novembre 1995. Era un Parma-Milan ed un giovane ragazzino dal ciuffo ribelle difendeva i pali della porta dei ducali. Si chiamava Gianluigi Buffon ma nessuno sapeva davvero chi fosse. A quel portiere, però, è bastata solo quella gara per dimostrare le sue qualità, chiudere la saracinesca davanti a campioni del calibro di Baggio e Weah e convincere tutti che da quel momento in poi quel ruolo, con lui in campo, non sarebbe stato più lo stesso.
Abbiamo visto Gianluigi Buffon, un portiere che da 25 anni rende naturale l’impossibile.