Quando non vinci mai può insinuarsi una psicosi della vittoria. Nella letteratura del pallone gli esempi sono tantissimi. Uno su tutti quello del Benfica e di Bela Guttmann. A Parigi sta succedendo la stessa cosa con la Champions League.
Ogni anno chi arriva al PSG ha un solo obiettivo: vincere in Europa. Già, perché in Francia i trofei nazionali sono poco considerati e bisogna vincere fuori dai confini per affermarsi. E questo genera aspettative altissime ogni anno, che se poi non vengono raggiunte, generano un senso di frustrazione nei calciatori e nell’ambiente. Neymar ne è un esempio lampante. Gli mancava il Barça perché lì ha vinto e da protagonista, mentre a Parigi non ci è mai riuscito. E la paura di non farcela ti affossa.
Per risolvere il problema Luis Enrique si è portato uno psicologo di fiducia. Joaquin Valdès, uno che sta con lui da 15 anni e che lo ha aiutato anche dopo le scomparsa della figlia, la piccola Xana, in quello che è sicuramente stato il momento più buio della sua vita. Adesso sarà necessario aiutare anche il PSG ad uscire da un tunnel da cui al momento non sembra vedersi una luce.
Un’altra cosa in cui Valdes in Francia entrerà – in realtà quando si tratta di Luis Enrique allenatore ha sempre avuto voce in capitolo – è il rapporto del tecnico con i media. Con quelli spagnoli c’è sempre stato attrito, ma ha già iniziato a dribblare anche quelli francesi, suscitando malumori che rischiano poi di trasformarsi in un nuovo fronte di conflitto. Qui subentra Joaquin. Si confrontano ogni giorno e decidono con chi parlare, quando e perché. Tutto, nel campo della comunicazione e dell’esposizione al pubblico, passa da Valdes. E così sarà anche a Parigi.
È come un’ombra per Lucho. Si sono conosciuti ai tempi dello Sporting Gijòn, poi Luis se lo è portato con sé in Italia, in Spagna, anche in nazionale, e ora in Francia. Valdes ha un modo di lavorare sui generis, ma che nei rapporti con i calciatori ha sempre funzionato e portato risultati. È anche molto importante per migliorare il clima nello spogliatoio. Si occupa singolarmente del benessere psicologico dei calciatori e dello sviluppo di abilità mentali nella gestione delle emozioni. «Le basi da cui partire sono fisico, tecnica, strategia e mentalità. E tutte e quattro sono ugualmente importanti. Se non ci occupiamo della psicologia dei giocatori, il resto non funzionerà», aveva detto in un intervento all’Università di Barcellona. Diktat.
Joaquin è un uomo discreto, a cui non piace apparire o parlare di sé. Avversario di riflettori e telecamere, preferisce il rapporto con i ragazzi e staff. Judoka al settimo Dan, è uno che non le manda a dire e che sa entrarti dentro. Per questo ha stregato Luis Enrique. Segue costantemente la squadra. In tournée, in trasferta ed è presente a tutti gli allenamenti e alle riunioni tecniche. Vive lo spogliatoio per entrare in empatia con chi ne fa parte. È importante creare un legame, in modo che i giocatori vedano il valore del lavoro e si fidino della persona. A Parigi, viste le responsabilità psicologiche della squadra, non dovrebbe essere difficile far capire ai giocatori che è nel loro interesse sedersi sul divano.
In città quando gli nomini la Champions e l’ossessione nel non averla ancora vinta, ti parlano del 6-1 a Barcellona, arrivato tra l’altro proprio con Luis Enrique sulla panchina blaugrana. È un trauma. Oltre all’allenatore altri tre in campo quella sera nel Barca, sono passati da Parigi. Messi, Daniel Alves e Neymar, ma quasi a volerla esorcizzare. Per ora non è servito. Chissà se lo psicologo di Luis Enrique ci riuscirà.