Le magliette da calcio sono tra gli oggetti più acquistati (e amati) al mondo. Un business che secondo The Athletic vale almeno 18milioni e 259mila euro. Sono sempre di più, con edizioni speciali pronte a uscire in ogni momento della stagione, e sempre più colorate. Ma soprattutto, sono sempre più care. Ormai 90 o 100 euro rischiano di non bastare se ci vogliamo permettere il “lusso” di avere nome e numero stampati sulla schiena. Un prezzo che negli anni è raddoppiato o in alcuni casi triplicato, non solo in Italia, seguendo comunque l’aumento generale del costo della vita rispetto al passato, anche se purtroppo da noi, a differenza di altri Paese europei, gli stipendi non sono migliorati. Ma quali sono i motivi per cui le maglie da calcio costano così tanto? Che cosa c’è dietro i continui aumenti?
Alle origini di un oggetto di culto
Una tradizione, quella delle uniformi, che nasce di pari passo con lo statuto del club più antico del mondo, lo Sheffield F.C. del 1857. «Ogni giocatore – si legge – deve munirsi di un berretto di flanella rosso e blu scuro». Per vedere il primo logo stampato sulle magliette si dovrà invece attendere il 1973, quando i tedeschi del Braunschweig scesero in campo con il logo di Jägermeister, introducendo un nuovo business.
Dagli anni Novanta in poi le maglie da calcio hanno però assunto un nuovo significato, più culturale. Si indossano non solo per giocare o andare allo stadio, ma anche sopra i jeans nella vita di tutti i giorni, diventando col passare del tempo oggetti da collezione o addirittura di culto.
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Perché le maglie da calcio costano così tanto?
Sarebbero due, per The Athletic, le principali motivazioni per cui il costo rispetto all’anno di partenza dell’analisi, il 1992, è triplicato. Allora bastavano gli attuali 30 euro, mentre oggi siamo alle soglie dei 90 per un modello base. Il primo è fisiologico ed è dovuto all’inflazione, salita del 2,8% in questi anni. Trasformando quei 30 euro in 72. Certo, c’è ancora un po’ di margine, ma insomma rende l’idea.
L’altro è la crescente domanda. Oggi molte più persone comprano maglie da calcio e lo fanno con maggiore frequenza, una dinamica che da sempre causa un incremento dei prezzi. Anche perché il legame che unisce tifosi e club è forte e non importa se c’è da fare qualche sacrificio in più. Del resto non si acquista tessuto, ma tutto ciò che quella squadra racchiude.
Un aumento della domanda che ha fatto sì che oggi esistano di fatto due versioni acquistabili delle maglie dei club più importanti. Sembrano identiche, ma non lo sono. Una è la “replica”, quella diciamo “standard” che per anni è stata l’unica disponibile sul mercato. L’altra, per i più audaci, è la versione “Authentic”, con un prezzo che supera abbondantemente i 100 euro, per sfiorare in certi casi i 150. La differenza è che la seconda presenta la stessa tecnologia tessile di quelle che indossano i giocatori in campo.
Chi si intasca questi soldi?
Non è facile addentrarsi “dietro le quinte” su come nascono le maglie da calcio e i relativi movimenti di denaro, anche perché i marchi sportivi non hanno nessun interesse a diffondere i dettagli. Per capire come sono ripartiti i vari costi e guadagni lo studio più attendibile è quello di Peter Rohlmann, tra i più importanti esperti di Sport marketing, che parte da un dato di partenza: gli 8/9 euro che costa ai brand un kit da calcio e il suo trasporto.
L’esempio che fa Rohlmann riguarda la maglietta della Germania per i Mondiali del 2018, del costo di 90 euro. Come detto, circa il 10% se ne va tra costi di produzione e trasporto. Una fetta ben più consistente, il 44%, quindi una 40ina di euro, se li intascano i rivenditori, siano fisici o online. Il 14%, quindi circa 20 euro a t-shirt, viene assorbito dalle tasse, in più la federazione tedesca si prende il 6% (5,50 euro) di ogni capo per i diritti. Infine una somma poco più alta del 5% viene spesa in egual misura in marketing, pubblicità e distribuzione. Un ragionamento per cui dei 90 euro scritti sul cartellino, alla fine Adidas intascherebbe 17 euro a maglietta.
Infine, per quelle dei club c’è da considerare che i brand devono rientrare delle spese fatte per contratti di sponsorizzazione tecnica sempre più faraonici.