Il ct della Nazionale italiana, Roberto Mancini, ha rilasciato un’intervista al Corriere dello Sport per dare il proprio ricordo di Diego Armando Maradona.
LA NOTIZIA – «Quando ho letto sul telefonino che Diego era morto, ho pensato subito a una fake news. Poi ho visto quante notizie stavano arrivando da tutto il mondo e ho capito che era tutto vero. Incredulo e addolorato, mi sono messo davanti alla tv. Emozioni senza fine, sono tornato indietro nel tempo. Ancora non mi rendo conto che Maradona non c’è più. Un Dio del calcio, un immortale come Muhammad Ali e Kobe Bryant. Diego non morirà mai, ogni immagine del suo talento lo farà resuscitare nella nostra memoria».
LA SFIDA CONTRO EL DIEZ – «18 novembre 1990, Napoli-Sampdoria 1-4: chi può dimenticare una partita del genere? Il Napoli doveva difendere lo scudetto, noi volevamo quel titolo. Una partita spettacolare, in cui segnai uno dei gol più belli della mia carriera, forse il più bello perché il coefficiente di difficoltà era elevatissimo. Lancio di Lombardo dalla destra e semirovesciata al volo, colpisco il pallone al momento giusto, palo e gol: quel giorno ne feci un altro e poi la doppietta di Vialli, uno spettacolo riconosciuto anche da Diego. Venne negli spogliatoi, hai segnato un gol alla Maradona mi disse. Fece i complimenti a tutti perché era un campione vero, che sapeva riconoscere il valore degli avversari. Il Napoli aveva già capito che saremmo stati i rivali più tosti nella difesa del titolo. Tanto che battemmo il Napoli anche a Genova, nel ritorno. Anche quella domenica Maradona venne negli spogliatoi, non avevo segnato ma mi regalò la sua maglia. L’ultima del Napoli. Era rossa, scrisse subito la dedica per mio figlio Filippo, la conservo ancora con orgoglio e passione. Diego resta sempre Diego. Dopo quella partita scappò via e non tornò più».
CARATTERE – «Un bravissimo ragazzo, pur con tutti i suoi problemi. Era onesto, sincero e, soprattutto, aveva massimo rispetto degli avversari. Guardate che non è facile, non tutti sono in grado a quei livelli di essere sempre corretti. Io sono stato fortunato, come gli altri giocatori dell’epoca. Dopo una finale di Coppa Italia, a Cremona, litigammo: l’aria era tesa, scaramucce di campo. Rientrò tutto anche grazie alla sua correttezza. Sette anni indimenticabili per il calcio italiano».
IL PIÙ FORTE – «Maradona, vi rendete conto? Tutti noi, anche i più bravi, eravamo ammirati e colpiti dal suo talento e dalla sua genialità. Affrontarlo era un’emozione irripetibile. Anche oggi non capisco come facesse a realizzare certe giocate. Vedevamo dei colpi dal vivo che per noi umani non erano spiegabili. Ma come faceva? Ce lo domandavamo prima e dopo le partite. Tecnica e fantasia unica, la sua capacità di tirare in qualsiasi condizione era spaventosa. E poi nessuno sapeva mettere il pallone dove lo mandava lui, un sinistro incredibile. Noi giocatori, tutti, lo amavamo. Per quello che era e per quello che faceva in campo. Lo ripeto: era il numero 1 ma aveva rispetto dei suoi avversari, anche quelli più deboli. Io non so se dal punto di vista politico lo abbiano voluto colpire ma dal punto di vista sportivo era davanti a tutti».