«Nonostante avessi superato i 100 gol in Serie A, per la Nazionale ero una delle scelte, non certo la prima. Probabilmente oggi sarei la prima scelta e questo per il calcio italiano è un problema. Io in Nazionale avrei voluto trovare più spazio, meritavo di andare al Mondiale 2002. Nell’anno e mezzo precedente, a Parma, feci 35 gol. Segnavo sempre». Marco Di Vaio, ex attaccante e oggi, quasi 47enne, direttore sportivo del Bologna, si è aperto in una lunga intervista con Cronache di spogliatoio. «Mi piace questo ruolo, ma è molto stressante, non è facile. Forse perché ho un sentimento particolare per questo club. Sono uno di quelli che non sanno vivere il lavoro con distacco, perciò il livello di stress è inevitabilmente alto. Lasciare Bologna solo quando avremo vinto un titolo o saremo tornati in Europa? Speriamo non mi mandino via prima…».
Nesta, il più forte
«Lo dico con sentimento, per me è stato il centrale di difesa più forte di tutti. Siamo partiti insieme nella Lazio, avevamo dieci anni, sognavamo di vincere. Lui lo ha fatto da capitano. Era un giocatore unico, moderno e con tanta forza interiore. Impostava già da centrocampista, vederlo evolvere così rapidamente fu una sorpresa anche per me. Da direttore sportivo, magari ne trovassi uno così per strada…»
Di Vaio e il paragone con Immobile
«Son partito da esterno, poi seconda punta e pian piano diventato un attaccante centrale. Non avendo grande fisicità, non amando la protezione della palla, per essere al top dovevo star bene fisicamente. Nel modo di attaccare la porta, nei movimenti, mi rivedo in Immobile, anche se Ciro è molto più potente di me. Nazionale? Probabilmente per lui non è mai nato lo stesso feeling che esiste con la Lazio. Vieri, ad esempio, segnava tanto all’Inter, ma poi era decisivo anche in Nazionale. Forse a Ciro nella Lazio è mancata la vera competizione europea».
Il miglior Di Vaio a 32 anni
«A Bologna arrivai dopo due stagioni negative. Dovevo riaffermarmi, far ricredere tante persone. Avevo sofferto, e quando soffri a un certo punto tiri fuori qualcosa di diverso. Mentalmente ed emotivamente. Era il posto giusto, al momento giusto. Qui trovai pace ed equilibrio. La stessa che trovarono prima di me Baggio e Signori e Gilardino dopo. C’è una discreta pressione, il Bologna ha scritto la storia della Serie A e perciò non è una squadra normale».
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Il calcio italiano in Europa
«Siamo abbastanza indietro per regole, strutture, settori giovanili, seconde squadre. Giro tanto in Europa e mi accorgo che vanno a velocità pazzesche. Noi invece siamo quasi fermi, non cambiamo. E non serve andare per forza nei top campionati. Lo noti anche in Portogallo, Olanda, Belgio, Svizzera: tornei di buon livello, ma con club pari alle migliori squadre in Italia per capacità di sviluppare il talento».
Gli allenamenti impossibili a Parma
«Il primo anno facevo la riserva, ma gli allenamenti valevano più di qualunque partita. Mi allenavo con Buffon, Cannavaro, Thuram e Sensini che menavano forte. Spesso e volentieri tornavo a casa malconcio e triste perché non riuscivo mai a tirare in porta, la palla praticamente non la vedevo. Dopo Parma però non avevo più paura di niente e nessuno. Il ‘peggio’ ormai lo avevo affrontato».
La mentalità di Lippi
«Abbiamo avuto qualche scontro perché lui è uno bello tosto, ma grazie a lui e a quella Juventus costruii il Di Vaio dei futuri dieci anni. Con Lippi non sbagliavamo una partita importante. Mi fece fare uno scatto mentale perché è l’allenatore in assoluto più vincente che ho avuto. Rimane il rimpianto di non aver giocato la finale di Champions a Manchester contro il Milan: probabilmente vedeva meglio Zalayeta, non gli ho mai chiesto il perché».
«Quando arrivai a Torino ero convinto di essere pronto, invece trovai una realtà non uno, ma tre livelli superiori a quanto mi aspettassi. Per concentrazione, professionalità e dedizione al lavoro erano troppo avanti. Adesso è normale trovare queste componenti nei grandi club, ma la Juve ce le aveva già vent’anni fa. Ferrara e Conte, ad esempio, avevano fatto la storia, eppure erano sempre in discussione. Vedevi la loro mentalità nel volersi riconfermare ogni giorno, con il sorriso sulle labbra. Grazie a loro, alla Juventus, ai suoi principi, nei futuri momenti di difficoltà continuai ad allenarmi in un certo modo e a reagire. Non a caso, quando per il calcio italiano ero ormai finito, da Bologna in poi feci altri 7 anni ad altissimo livello».
Ranieri, uno sveglio
«Ai tempi di Valencia non potevo immaginare cosa sarebbe riuscito a fare dieci anni dopo a Leicester. Claudio era un allenatore intelligente, sveglio, credibile, curioso, rapido nel leggere situazioni e persone, sapeva sempre molto bene chi aveva di fronte. Parlava un perfetto spagnolo. Si è aggiornato continuamente, ha tenuto il passo negli anni. Però vincere in Premier va oltre ogni previsione» ammette Di Vaio nell’intervista.
Il rapporto con Pioli
«Capii subito che era di un altro livello. Mi gestì in maniera perfetta, con una sensibilità e un tatto davvero unici. Con lui costruimmo una delle migliori stagioni degli ultimi vent’anni del Bologna. Una grande scoperta per me e infatti non mi ha sorpreso quello che poi è riuscito a fare. Pioli is on fire ormai lo senti ovunque. Certo, mi sorprenderei però se dovesse vincere la Champions».
Cosa direbbe oggi Sinisa a Di Vaio?
«L’ho avuto come allenatore e l’ho ritrovato quando sono tornato a Bologna da dirigente» ricorda Di Vaio. «Per lui solo pensieri positivi nonostante il carattere non facile, ma la sua onestà e la sua sincerità mi disarmavano sotto tutti i punti di vista. Con Sinisa ci si poteva anche scontrare, ma poi si andava a mangiare e bere insieme ed era come se non fosse successo nulla. Si era creata una forte empatia con tutto il club e con la città. Mi restano tantissimi ricordi, con lui e con la sua famiglia, tutto ciò che abbiamo vissuto insieme. L’esonero dello scorso settembre è stato il momento più difficile dei miei otto anni da dirigente qui al Bologna. Una decisione presa per il bene del Club, ma con grande sofferenza. Cosa mi direbbe se fosse qui? Sicuramente ‘testa di cazzo’… (ride, ndr), ma anche di aver capito il perché di quella scelta. Sinisa voleva essere prima di tutto rispettato come allenatore ed è quello che abbiamo fatto. Sarebbe interessante potergli dedicare un luogo, un’area allo stadio, qualcosa che lo ricordi.
Dove può arrivare Thiago Motta
«Thiago è stata una bella sorpresa per tutto il mondo Bologna e lui ha trovato un posto dove gli piace stare. Ci sta aiutando a crescere, a tracciare un percorso ben definito con la sua mentalità e la sua personalità. È un allenatore moderno che cura tanti aspetti e che crea curiosità per il lavoro che propone. Ce lo hanno presentato come un predestinato e devo dire che in effetti ha qualcosa di speciale. Vedo passione e dedizione, mi piace da morire per quello che fa. Ha esperienza e spalle larghe offerte dalla sua grande carriera da calciatore. Sa bene che passi dovrà fare e come farli in futuro, è consapevole di quanto in questo momento sia importante Bologna per lui. Andrà certamente su livelli diversi, ma spero in un futuro il più lontano possibile».
Ferguson, Posch, Barrow e Sartori
«Lewis è il giocatore che ha unito la vecchia gestione tecnica con Bigon e quella nuova con Sartori. Posch? Bisogna essere onesti e dire che cercavamo un centrale per la difesa a tre e, alla fine, ci siamo ritrovati uno dei terzini più forti della Serie A. Adattandosi, mettendoci del suo, approfittando delle defezioni e sicuramente dell’intuizione del mister. Barrow? Ogni tanto mi permetto di dargli dei consigli. Non tanto su ciò che deve fare in campo perché bisogna lasciare spazio all’istinto, piuttosto sulla gestione dei momenti. Li ho vissuti in prima persona, perciò mi sento di potergli dare qualcosa. Sartori? La cosa che più di lui mi sorprende è la curiosità che mostra ogni giorno. Senza non sarebbe diventato ciò che è oggi» conclude Di Vaio nella sua intervista a Cronache.
A cura di Alessandro Rimi