Lucescu a Cronache: «Allo Shakhtar ho portato i giocatori in miniera. E quel viaggio in macchina con Pirlo…»

by Cosimo Bartoloni

Abbiamo passato mezz’ora insieme a Mircea Lucescu, un gigante del calcio, attuale ct della Romania, nonché il 3° allenatore con più trofei vinti nella storia di questo sport (37), dietro a Sir Alex Ferguson (49) e Pep Guardiola (38). Ci siamo fatti raccontare alcuni aneddoti sulla sua carriera e sui calciatori avuti. Siamo partiti da un concetto, che gli abbiamo chiesto di approfondire: ossia la richiesta che lui stesso faceva ai suoi giocatori di interessarsi alle cose, di essere sempre alla ricerca di imparare e di acculturarsi, di andare a teatro, leggere libri. Incuriosirsi. Cosa c’entra col calcio? Tutto.

Di seguito, gli estratti della nostra intervista.

Lucescu: «Dei vostri piedi mi importa poco. M’importa molto di più della vostra testa»

«Io dicevo ai giocatori: ‘Se noi quando siamo in trasferta andiamo solo all’albergo e allo stadio, quando tornate a casa cosa raccontate alla vostra famiglia, ai vostri figli?’. Quindi ogni volta io prendevo un traduttore e ai miei ragazzi facevo fare un’ora e mezzo di visita alle città in cui eravamo. Era importante sia per staccare dalla pressione della partita, sia per imparare cose nuove e acculturarsi. Io sono convinto di questo: senza una buona istruzione i calciatori non possono diventare grandi professionisti. Per questo, all’inizio della mia carriera, al Corvinul Hunedoara, avevo fatto iscrivere i miei giocatori in un istituto scolastico. Li portavo e li riprendevo. Abbiamo fatto due o tre anni così. Volevo che sviluppassero la loro mente, imparare ad analizzare e discutere, farli crescere e formare il loro proprio carattere. Ci tenevo a che sviluppassero sin da giovani una propria personalità. Allo Shakhtar ho portato i miei giocatori a 400 metri sotto terra per vedere come si lavorava nelle miniere. Al Corvinul li ho portati nelle acciaierie, dove lavoravano i loro parenti. Con la Nazionale, invece, una volta siamo andati a Cipro e ho portato tutta la squadra nelle fabbriche locali. Per tutti i 50 anni della mia carriera, ho sempre investito prima di tutto sull’educazione, sull’istruzione, sull’attitudine e sulla disciplina. Non può esistere che i calciatori arrivino a 32/33 anni e debbano ancora imparare le cose basilari della vita».

«Il mio viaggio in macchina con Pirlo dal Torneo di Viareggio»

Questo è il ricordi di Mircea Lucescu sul giovane Andrea Pirlo, un giocatore e un ragazzo che ha conosciuto e che ha aiutato a crescere, ai tempi del Brescia: «Lo seguivo dalle giovanili. Alla prima partita gli ho visto fare due cambi gioco perfetti, ma che nessuno aveva capito. Lì mi sono detto che quel ragazzino sarebbe potuto diventare un fenomeno. Così, l’ho invitato ad allenarsi con la prima squadra e ho iniziato a dargli spazio con noi. A 16 anni l’ho fatto esordire contro l’Ipswich Town nella Coppa Anglo-Italiana. Devo dire che ho sbagliato, perché nevicava ed era un campo difficile per le sue caratteristiche. Pareggiammo 2-2. Luzardi, nostro difensore, a fine partita si arrabbiò con me. Era convinto che la mia scelta di far esordire Pirlo aveva influito sul risultato e ci aveva fatto perdere la vittoria. A parte che anche lui aveva commesso due errori gravi. Ma poi i giovani talenti vanno gestiti bene. Bisogna farli giocare e farli sbagliare. E poi vanno difesi».

«Poi mi ricordo l’episodio al Torneo di Viareggio. Andai a vederlo ma l’allenatore non lo schierò titolare. Era sotto età, ma era comunque deluso. Avrebbe voluto giocare. Così, l’ho riportato io in macchina a Brescia. E nel tragitto abbiamo parlato tantissimo. L’ho ascoltato e gli ho dato i miei consigli, spiegandogli come avevo fatto con gli altri talenti rumeni. Gli dissi: ‘La tua strada è la Nazionale. Mettiti questo come sogno nella testa e seguilo. Vedrai che con il tuo talento e la tua intelligenza ci arriverai’. Avevo ragione».

Lucescu: «Sono arrivato all’Inter nel momento sbagliato»

Questa è l’analisi di Lucescu della sua parentesi all’Inter nella stagione 1998/99: «Sono arrivato all’Inter a dicembre. Abbiamo fatto 5 partite a San Siro con tantissimi gol. In casa facevamo spettacolo, fuori casa prendevamo gol stupidi e non vincevamo. Poi c’erano tanti giocatori a fine contratto. Quando mi hanno preso, hanno subito detto che sarei rimasto fino a fine stagione e che da quella successiva sarebbe arrivato Lippi. I giocatori sapevano questo e non mi stavano tanto dietro perché sapevano che sarei andato via. Facevano pressioni affinché li facessi giocare… Dopo la sconfitta contro la Sampdoria decisi di dimettermi. Lo dissi a Moratti. Volevo che la responsabilità della situazione la prendessero i giocatori, fino alla fine della stagione. Il presidente fu eccezionale. Nonostante la mia dimissione, decise di continuare a pagarmi lo stipendio, perché voleva ripagarmi del lavoro che aveva visto. Tornai in Romania, nella squadra in cui ero prima e vinsi subito il campionato. All’Inter purtroppo non è andata come speravo. Non sono arrivato al momento giusto».

E quando Taribo West a Vicenza gli lanciò la maglia addosso…

«A Vicenza lo cambiai. Entrò Silvestre e segnò. Ma West durante la sostituzione s’infuriò e mi lanciò la maglia addosso. Qualche giorno dopo venne da me per scusarsi, ma mi portò una bibbia e mi disse che lui era una stella dell’Africa e che doveva giocare perché tutto il continente lo guardava. Era così. Quando diventai l’allenatore del Galatasaray mi chiamava sempre. Giocava al Partizan e voleva tornare da me».

L’esperienza simile con Douglas Costa

«Era molto giovane. Contro lo Zenit perdemmo 1-0 in Champions. Dopo la partita era infuriato. Andai da lui per capire cosa avesse ma era incontenibile. Stava per scoppiare una rissa. Poi la situazione rientrò. Il giorno dopo ho parlato a tutto il gruppo, con lui presente. Davanti a tutti, gli ho detto: ‘Io ti ho portato qui allo Shakhtar. Ti ho dato la possibilità di giocare e tu mi tratti così? Io ti dovrei mandare in seconda squadra per questo, ma non lo farò. Ti do una seconda chance. Per ora non ti prendi i premi che si spartiranno i tuoi compagni. Se ti comporterai bene, con me e con loro, potrai tornare a prenderli’. Cosa voglio dire con questo? Ogni giocatore lo devi prendere con il suo modo di pensare e la sua personalità. E lo devi aiutare. Per un allenatore la cosa più importante è la gestione comportamentale e dell’educazione dei giocatori. Poi arriva il resto».

Ma come nacque il progetto dello Shakhtar dei brasiliani?

«È stato un esempio per tutta l’Europa. Il presidente Rinat Akhmetov voleva un calcio spettacolare e riportare la gente allo stadio. Gli dissi: ‘Per fare il calcio spettacolo c’è un solo modo. Portare i brasiliani. Mi occuperò io della loro crescita’. Il primo che abbiamo preso è Matuzalem dal Brescia. Poi sono arrivati tutti gli altri ed è iniziato il nostro ciclo vincente. Abbiamo vinto tanto in Ucraina e la gente era tornata a riempire lo stadio, la Donbass Arena, lo stadio più bello che ho visto al mondo. Oggi purtroppo l’hanno distrutto. Abbiamo portato soldi, successi e entusiasmo con questo progetto, che poi è diventato un modello».

Il rapporto tra Lucescu e Simeone

Nel 1990 Lucescu divenne l’allenatore del Pisa del presidente Anconetani, che la stessa estate portò in Italia un giovanissimo Simeone: «L’ho avuto a Pisa. Come giocatore aveva ancora dei limiti. Giocava solo di piatto. Ma era già un allenatore in campo. Parlava tantissimo. Aveva solo 19 anni. Con lui ho avuto un rapporto eccezionale. Con mia moglie lo invitavamo spesso a casa nostra a mangiare. Era da solo. Siamo stati bene insieme. Poi l’ho ritrovato all’Inter qualche anno più tardi».

Dan Sucu, uno degli imprenditori più ricchi di Romania

E per finire, Mircea Lucescu ci ha raccontato anche chi è Dan Sucu, imprenditore romeno e nuovo proprietario del Genoa: «Un grande professionista. Ha fatto centri sportivi per bambine e bambini in tutto il Paese. Lui è uno degli imprenditori più ricchi in Romania. Prima di andare in Nazionale dovevo andare da lui alla Dinamo Bucarest, ma poi non si è fatta. Vedremo come andrà in Italia: ci vorrà tempo, ma sono convinto che potrà fare bene. I tifosi del Genoa, comunque, lo devono ringraziare per essere arrivato in un momento delicato come quello che sta vivendo il club. Dategli tempo, potrà fare bene. E io sono contento che un rumeno abbia comprato una squadra di Serie A».

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