Mentre parli con Miroslav e lo guardi negli occhi, in molte cose ti sembra di rivedere il papà. Determinato, un po’ guascone ma con gli occhi sempre attenti e decisi. Ricorda Sinisa Mihajlovic nello sguardo e nei valori che si porta dentro. Lealtà, educazione, rispetto. «Papà in casa era come lo vedevi in panchina o in spogliatoio. Uno che se ti doveva dire una cosa in faccia lo faceva senza giri di parole». Da poco più di dieci giorni Miroslav Mihajlovic, 23 anni, ha preso il patentino Uefa C da allenatore. Potrà allenare tutte le categorie fino alla primavera. Partirà dalle giovanili dell’Urbetevere, una delle società più importanti del Lazio e la prerogativa sarà quella di non bruciare le tappe. «Io con il calcio sono cresciuto, ce l’ho nel sangue. Sono sempre andato a vedere le partite di mio papà allo stadio, poi gli allenamenti e vari ritiri. Dalla Samp a Torino e Bologna. E lì io e mio fratello seguivamo ritmi e orari dei calciatori: sveglia presto e tanta palestra. Venivamo trattati come giocatori».
Miro Mihajolovic, il figlio di Sinisa inizia ad allenare
Certo da allenatore sarà un’altra storia, ma è consapevole di avere il tempo dalla sua. «So di intraprendere un percorso difficile. Ma punterò molto sui valori umani. Per me sarebbe una grande soddisfazione allenare dei ragazzi ora, seguirli e poi vederli tra qualche anno arrivare tra i professionisti. Questa per me sarebbe la vittoria più bella».
Miro è nato nel 2000, Sinisa ha smesso di giocare 6 anni dopo. Troppo poco per averlo come modello da calciatore. Se non attraverso racconti, video e ricordi. Diverso invece il discorso in panchina. «Io sono cresciuto con mio padre allenatore. Io e mio fratello lo abbiamo seguito sempre. Cercavo ogni giorno di rubare qualcosa con gli occhi, spero di portarmi le sue caratteristiche quando mi troverò a gestire un gruppo. Anche se ho le mie idee e sono un altro tipo di allenatore». Ma ci arriveremo.
«Vedrai che tra 10 minuti fanno gol»
«Io e papà guardavamo insieme le partite sul divano. Discutevamo dei cambi da fare e di come i giocatori si posizionavano con il corpo – ci racconta –. Io giocavo in difesa e studiavo molto i movimenti dei centrali. Poi papà a un certo punto se ne usciva e mi diceva ‘vedrai che tra 10 minuti fanno gol’. E succedeva quasi sempre. Ci scherzavamo spesso su. Lui si girava verso di me e mi guardava come a dire ‘che t’avevo detto?’».
Mentre lo dice Miro si mostra per il ragazzo che è, sensibile, emozionato nel ricordare, ma allo stesso consapevole di tutto quello che ha imparato e che si porterà nel suo percorso. «Penso che prima di tutto sia una questione di valori. E io credo di portare in alto e con orgoglio tutto quello che nostro padre ci ha insegnato. Sono uno che dice le cose in faccia e crede molto nel dialogo. Spero di riuscire a fare così anche con i miei giocatori».
Dopo aver ottenuto il patentino per allenare gli hanno scritto in tanti. «Su tutti Stankovic e Mancini, che sono degli zii per me. Sono dei riferimenti, come uomini ancor prima che come calciatori. Uno dei miei sogni è allenare in Serie A, intanto mi piacerebbe arrivarci come collaboratore. Se poi fosse con Deki o Roberto, sarebbe fantastico. Io ci punto, ma so che ci vorrà tanto tempo per essere pronto».
«Se vinci ben venga, ma non deve essere un’ossessione»
Adesso farà l’allenatore in seconda dell’Under 15 e si occuperà del settore giovanile. «Ti parlavo prima di valori e insegnamenti. Questi sono e saranno i miei punti cardinali. Non conta tanto il risultato, ma più che altro quello che lasci in uno spogliatoio. Poi se vinci ben venga, ma con i ragazzi non deve essere un’ossessione».
Mihajlovic jr ha le idee chiare. Con lo sguardo determinato e gli occhi di chi sa di dover lottare e sgomitare. «So che la strada è lunga, devo e voglio fare tanta gavetta. Non serve andare veloce se prima non hai basi solide. Il mio modello ora è De Zerbi, sono stato anche da lui a Brighton qualche mese fa, mi piace come fa giocare le sue squadre. Costruzione dal basso, tanto movimento e ricerca dello spazio. In questo con papà siamo diversi, lui era più uno da aggressività e pressing alto. Ma chissà, magari negli anni cambierò idea».
Ogni volta che nomina Sinisa sorride, orgoglioso. Lui che è il primo genito e che ‘è diventato più grosso di lui’. Così gli diceva sempre. Del padre oltre agli insegnamenti si porta dietro la capacità di ascoltare, di apprendere come una spugna, avendo allo stesso tempo l’umiltà di chi sa di dover lavorare molto per arrivare in alto. Ma anche di avere il futuro come compagno di squadra. Insieme a un esempio che lo seguirà in ogni scelta e sarà sempre in panchina con lui.