Come sta la barba? «Procede, in estate fa caldo ed è problematica ma sono passati tanti anni e ormai mi ci sono abituato. Me lo chiedono spesso, zittisco tutti dicendo che d’inverno non sento il freddo». Sorride, Davide Moscardelli. Ha smesso di tagliarsi la barba il 2 febbraio 2013. Poi ha detto che l’avrebbe tagliata solo se avesse giocato con la maglia della Roma: «Volevano farmi dire per forza qualcosa e l’ho detto. Ormai giocare con la Roma è un sogno sfumato del tutto, se mai ci fosse stata la possibilità». Tra tifo e la Serie A raggiunta a trent’anni, Moscardelli si racconta a Cronache. Partendo dall’inizio e dalla Roma, anno duemila: «Gioco in Eccellenza la mattina alle 11, poi mi faccio portare da mio padre allo stadio. L’età era avanzata [vent’anni, nda] ma era quel che mi piaceva fare, mi riusciva bene. Non pensavo al professionismo, pensavo a divertirmi. Poi è arrivata l’occasione e sì, sono stato bravo a coglierla». A vent’anni l’Eccellenza, a trenta la Serie A.
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Davide Moscardelli, gli inizi
Partiamo dall’inizio. Davide Moscardelli nasce il 3 febbraio 1980 a Mons, in Belgio. Suo padre è nell’aeronautica: «Ha avuto una missione lì di tre anni, io non ho assolutamente alcun ricordo, avevo otto/nove mesi quando sono tornato a Roma. Mi sento italiano e romano al 100%», spiega a Cronache. Maccarese, Guidonia, Sangiovannese. Nel 2003 la Serie B con la Triestina, due anni a Rimini, uno a Cesena. Gioca con Denis Godeas e Dino Baggio, Floccari e Samir Handanovič, Jeda e Matri, Djurić e Graffiedi. Nel 2009/10 Moscardelli è a Piacenza, fa 14 gol e dopo sette anni di Serie B riceve una chiamata. Lo vuole il Chievo, direzione Serie A. Un sogno che si avvera. Domenica 29 agosto 2010, debutta al Bentegodi contro il Catania: «Ma non ho avuto tanto tempo di capire, perché dopo un quarto d’ora all’esordio ho fatto anche gol. È proprio stata una giornata bellissima – ricorda Moscardelli a Cronache – non solo giocare in Serie A, ma fare gol. Per me poteva anche finire lì la carriera. L’obiettivo l’avevo raggiunto, no? Non è da tutti fare gol in Serie A». E ancora: «È stata un’attesa lunga. Ho saputo il giovedì che avrei giocato la domenica, quei tre giorni ho provato un mix di entusiasmo, voglia, paura. Il mister, Pioli, già mi conosceva. Mi ha voluto preparare, in amichevole io giocavo con Pellissier. “Mi raccomando, cercatevi eh, perché poi ci serve per domenica…”, ha detto. Lì ho capito che era arrivato il momento».
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Chievo, mister Pioli, l’Inter
Debutto con gol in Serie A a trent’anni. Che altro? Segnare anche alla prima trasferta. Accade il 12 settembre 2010, il Chievo è ospite al Ferraris, casa del Genoa di Gian Piero Gasperini. Vince 3-1 e un gol lo segna Moscardelli: «Miglior inizio non potevo chiedere». Altro che Arancia, chiamatelo Pandoro Meccanico. Il segreto del Chievo di Pioli è l’esperienza: «Lavoravi bene, le pressioni eran quelle giuste, sapevi qual era il tuo obiettivo. C’erano tanti lì da molto tempo, i nuovi ti aiutavano a integrarti. Facevan vedere la favola Chievo, no? La chiamavano sempre così. Poi non è più stata favola, perché 15 anni in Serie A tranne un anno di sosta, in Serie B, sono una certezza», continua a Cronache. Ed è il 22 novembre 2010, in cui Pellissier e Moscardelli abbattono l’Inter campione d’Europa in carica: «Che emozione, segnare alla squadra che l’anno prima aveva vinto tutto. Per me, che li vedevo sempre e solo in televisione giocatori di quel calibro…». E una precisazione: «Guarda, io al Genoa anche in Serie B ho sempre segnato. E spesso lì a Genova, sono innamorato di quello stadio, mi piace da impazzire. Quindi non lo so, mi ha portato sempre bene, ecco».
Il tributo dell’Arena a Davide Moscardelli. Grazie di tutto, @Moscagol ❤️⚽️ pic.twitter.com/jC4ltYIu9G
— Pisa Sporting Club (@PisaSC) December 11, 2021
«Ho fatto in tempo a fare un altro figlio…»
Il bottino di Davide Moscardelli è presto detto: quattro anni di Serie A, dal 2010 al 2014. Due col Chievo (6 e 4 reti), due col Bologna (1 e 1). Sì, perché il 31 gennaio 2013 Moscardelli accetta i rossoblù: «Al Chievo arriva un nuovo mister, Corini mi sembra, e mi vede meno. Io poi andavo in scadenza di contratto, mister Pioli mi ha chiamato al Bologna, ho preferito giocarmi lì le mie carte», spiega a Cronache. Gioca un po’ meno, ma in compenso finisce da attaccante a portiere. È il 27 aprile 2013, contro l’Atalanta: «A me quel ruolo m’è sempre piaciuto, infatti in allenamento mi metto in porta a volte. Lì perdevamo 1-0, abbiamo fatto l’1-1 ma per arrivarci c’erano tutti gli attaccanti in campo, io, Diamanti e Gilardino. S’è infortunato Curci, doveva andare uno di noi in porta. L’unico che se la sentiva era Diamanti, l’ho fermato e ho detto “no, se capita una punizione o qualcosa del genere è meglio che stai in avanti”. È stato bello, per fortuna mancavano solo 30 secondi, ho giusto fatto un rinvio ed è finita la partita». Il 12 maggio successivo, Moscardelli segna al Parma e interrompe un lungo digiuno. Lo dice lui stesso in un’intervista post-partita: «È vero, mi chiedono “a chi dedichi questo gol?“. Io tornavo da un infortunio, poi sono rientrato e giocavo meno che al Chievo. Non segnavo da parecchio. Così ho detto: “Lo dedico a mio figlio appena nato, volevo dedicarlo al mio primo figlio ma è passato del tempo e ho fatto in tempo a far nascere il secondo“. Hanno un anno e 10 giorni di differenza, così ho dedicato il gol a tutti e due».
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Lecce, Arezzo, una rovesciata
Il 18 maggio 2014, Il Bologna ha cambiato tecnico (da Pioli a Ballardini) e gioca con la Lazio. I felsinei sono retrocessi in Serie B. Davide Moscardelli non lo sa, ma quel giorno gioca l’ultima sua partita in Serie A – con la maglia numero 10, peraltro. In estate accetta il Lecce e scende in Lega Pro: «Sono andato in Salento perché c’era un progetto. Dovevano risalire, ci avevano già provato ma avevano perso la finale playoff. Poi m’ha chiamato Miccoli… Molte squadre hanno visto il mio boom sui social per il discorso della barba e pensavano che ormai pensassi solo a quello, ecco. Mi credevano finito. Il mio obiettivo era “vado a Lecce, vinciamo il campionato e mi ritrovo in Serie B l’anno prossimo”. Purtroppo non è stato così…», continua a Cronache. Davide Moscardelli fa due anni a Lecce in Lega Pro e due anni ad Arezzo. Qui due flash: un gol in rovesciata, spettacolare, e una salvezza ottenuta nonostante 13 punti di penalizzazione: «Eh, il primo anno abbiamo fatto i playoff. Il secondo ci sono stati tanti problemi. A gennaio avevo una proposta del Pisa, ma non mi sentivo di abbandonare l’Arezzo. C’eravamo noi giocatori, il mister e i magazzinieri. Non c’era direttore, non c’era presidente, s’era stretta un’unione con la città, coi tifosi. Sono rimasto».
«Battigol, con due t»
Pisa può attendere. A luglio 2018 però Moscardelli arriva in Toscana, vince la Serie C e chiude la carriera alla fine del 2019/20, in Serie B, da capitano del club. Cerchio chiuso, a 40 anni. A un certo punto poteva lasciare l’Italia: «Il Rubin Kazan mi offriva tanti soldi, più di quelli che prendevo e che avrei preso. Però non s’è mai concretizzata. Io non ho mai spinto, il Bologna ha visto i russi e sai, ha incominciato ad alzare un po’ il prezzo. Loro non volevano cedermi, ora ti dico che avrei voluto fare un’esperienza del genere, anche per un fatto economico. Però avevo il pallino della Serie A», ribadisce Moscardelli a Cronache. Di lui, una volta, Billy Costacurta ha detto: “Con le dovute proporzioni, i gol di Moscardelli non hanno niente da invidiare ai gol di Messi”. Davide sorride. È legato a un altro attaccante argentino, Batistuta: «Sono cresciuto col suo mito. Da lì mi chiamavano Battigol, con due t, e poi è nato Moscagol…». Ah, la Roma. I figli di Moscardelli si chiamano Mattia e Francesco. Prova a indovinare perché si chiama così…
«Ci fossi arrivato prima…»
Nel 2000, Davide Moscardelli gioca in Promozione e va a vedere la Roma allo stadio con la sciarpa al collo. «Per me ho sfondato – conclude a Cronache –. Te l’ho detto, non è facile fare una carriera come ho fatto io, arrivare in Serie A a trent’anni e vedere che ci potevo stare. Un piccolo rammarico? Ci fossi arrivato un po’ prima… però esserci arrivato mi ha ripagato di tutti gli sforzi». E ancora: «Sai la tipica frase che dicono i tifosi, “basta che vi impegnate, sudate la maglia”, quella cosa lì. Quella io ce l’ho sempre avuta, perché sono stato prima tifoso che calciatore. Il primo contratto da professionista l’ho fatto a 22 anni, fino a 22 ero solo un tifoso».