L’aria della festa in città si respirava da giorni. Un papà mette la mano sulla testa del figlio e lo avvisa. «Guardati bene intorno, perché questo giorno te lo ricorderai per tutta la vita». Consapevolezza della portata che avrà l’evento. Lo scudetto a Napoli mancava da 33 anni e molti di quelli che oggi scendono in piazza per festeggiare con i figli, al tempo di Diego lo fecero a loro volta accompagnati dai padri. Passaggio generazionale. Da Maradona e Careca a Kvara e Osimhen, sono cambiati idoli e riferimenti, ma non l’entusiasmo e la passione di un popolo, come quello napoletano, che vive e si nutre di calcio.
«Sembrava di giocare a Napoli, un’emozione incredibile»
In spogliatoio a Udine piangono tutti. Nessuno nella rosa del Napoli aveva mai vinto uno scudetto – anzi moltissimi non avevano mai vinto niente – e la gioia è incontenibile. Era prevista, nell’aria, ma quando la provi poi è una sensazione sempre diversa. È l’evento che crea la memoria. A Napoli da settimane non si parla d’altro, ovunque cammini sentì discussioni sulla formazione, sui prossimi impegni e sui punti che mancano all’aritmetica vittoria. Oggi è arrivata, dopo la beffa di domenica scorsa con la Salernitana e il gol di Lovric che ha risvegliato vecchi fantasmi. Scacciati dal solito Osimhen, 22 gol in un campionato di cui è sempre più capocannoniere.
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I tifosi hanno seguito la squadra in ogni momento, senza mai smettere di cantare, ma allo stesso tempo senza mai pronunciare la parola scudetto. La scaramanzia da quelle parti è una cosa seria e non si scherza. Finché la matematica non ti da il via libera. «Sembrava di giocare a Napoli, è stata un’emozione incredibile», ha raccontato Di Lorenzo nel post partita. Invece i chilometri da Udine sono ben 840. Ma oggi non li ha sentiti nessuno. Il ritorno sarà in discesa, con un gran peso tolto dalle spalle. Campioni, finalmente.
Quella del Napoli è stata la vittoria di Giuntoli, di Spalletti, di De Laurentiis e di una serie di rivincite prese dopo anni di tentativi e di schiaffi. Il primo era considerato un direttore sportivo incapace di creare gruppi vincenti, il secondo un allenatore che arrivava scottato da esperienze emotivamente pesanti con Inter e Roma, il terzo un presidente spesso criticato dalla piazza che talvolta sembrava dimenticare cosa era il Napoli prima del fallimento e dove invece si trova adesso. Il merito anche suo, uno dei primi a crederci.
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Una delle chiavi è stata quella di far sentire tutti protagonisti. Spalletti ci è riuscito senza mai stravolgere. D’altronde squadra che vince non si cambia, quindi perché farlo. Chi è entrato – vedi Simeone, Raspadori o Elmas – si è sempre fatto trovare pronto, con la voglia di spaccare il mondo e le partite. Luciano da Certaldo è stato capace di educare, valorizzare e dare consapevolezza al gruppo. Siete forti, fortissimi, dovete solo dimostrarlo. E non ce ne è stata per nessuno. Pochissimi passi falsi, nessuna sconfitta contro le piccole e mai un calo di concentrazione. Così si vincono i campionati, ce lo insegna la storia. Arriva prima in fondo chi lascia meno punti per strada, con le “piccole” che spesso hanno guastato feste e generato rammarico. Non al Napoli. Equilibrati, con la testa giusta e soprattutto vincenti.
Di Lorenzo e l’eredità di Diego
Nel segno di Maradona. Inevitabilmente è stato così. Cori, riferimenti storici e tanta gratitudine. Dios (o D10S) per l’appunto. Era stato infatti proprio Diego l’uomo simbolo degli ultimi due scudetti del Napoli, oltre che l’ultimo capitano ad alzarlo. Oggi è toccato a Di Lorenzo, un calciatore e un uomo molto diverso da Diego. Quasi un anti divo. Lotta, governo e lucidità, di certo non classe e fantasia. Opposti nel ruolo e nella personalità. Giovanni è uno che sgobba e lavora in silenzio, avversario di complimenti e riflettori. Fino a qualche anno fa giocava in C con il Matera, l’anno prima aveva pensato addirittura di smettere. Oggi è il capitano del Napoli Campione d’Italia. Scherzi del destino. Tra l’altro suo fratello si chiama Diego e proprio ieri ha compiuto gli anni. Altra coincidenza che lo lega a Maradona. Giovanni Di Lorenzo, da Castelnuovo di Garfagnana in provincia di Lucca. Lui, l’anti Diego per eccellenza.
«Non mi sembra vero»
In realtà la frase originale viene detta in dialetto. «Nun me par o vero», con uno sguardo agli amici intorno per essere sicuri di non star sognando. Le sensazioni e gli occhi dei tifosi del Napoli negli ultimi 5’ della partita di Udine, raccontano storie e conservano anni di delusioni e sogni mancati. Che ora sono finalmente liberi di uscire dal cassetto dopo tanto tempo. Nei festeggiamenti c’è gente che piange, padri abbracciati ai loro figli, entrambi in lacrime, perché la passione si tramanda, si condivide. La festa a Napoli continuerà per settimane, sarà grande, proporzionata agli anni di attesa. Per realizzarlo basterà aprire gli occhi, anche se forse per farlo realmente ci vorrà un po’ di tempo. Con uno sguardo a rassicurare. «Si, è tutto vero». Le porte del paradiso sono aperte, spalancate. Entrarci per Napoli e per i napoletani non è mai stato così bello.