Ricordate Nené? A 38 anni segna ancora: «Io e Cellino nati lo stesso giorno, per questo mi ha preso!»

by Francesco Pietrella

Quand’era su quell’autobus, in mezzo a volti stanchi, gli venivano in mente varie cose. Lui in strada che gioca con gli amici; lui professionista in giro per il mondo; la nonna che lo chiama Nené perché non riesce a pronunciare il suo nome, Anderson Miguel da Silva; lui finalmente felice, realizzato, calciatore, con un paesaggio diverso rispetto a quello che vede ogni giorno, controllore di biglietti sull’autobus. Nené, a 16 anni, obliterava i ticket per portare a casa soldi. Ogni tanto gli capitava di fare qualche multa. Viveva a Sorocaba, in Brasile, nello Stato di San Paolo, e «il professionismo era solo una meteora». Proprio come il mare, costante della sua carriera, anche se a quel tempo ancora non lo sa.  

Bomber sul mare

Nené è tornato in Portogallo dopo nove anni in Italia. Cinque a Cagliari, tre a La Spezia, uno a Bari e sei mesi a Verona, l’unica piazza dove ha fatto male. Colpa del mare: «Non ci ho mai pensato, ma in effetti è così. Ho sempre dato il meglio vicino alla costa, chissà come mai. Sarà il vento? Il senso di libertà e pace? Boh…». E se la ride. Dopo due stagioni nella Moreirense e un’altra nel Leixoes ora gioca in seconda divisione nel Vilafranquense, vicino Lisbona. Di fronte al campo d’allenamento c’è il Tago, un po’ più a sud l’Oceano. Casa sua come 14 anni fa, quando arrivò dal Brasile per giocare a Funchal, nel Nacional, l’isola dov’è nato Cristiano Ronaldo. Fin qui ha segnato 11 gol: «La vita del bomber è questa. Ho 38 anni e la butto dentro come ai tempi di Cagliari. Il giorno in cui smetto di segnare dico basta. Non è ancora arrivato». 

Controllore sull’autobus

In sottofondo si sente il vento. Rumore di mare. Nené gioca a Vila Franca de Xira, centomila abitanti, ma vive a Lisbona: «E mio figlio a La Spezia! Ha mollato il calcio, ora studia da fisioterapista». Altra vita. Papà ha dovuto sgomitare per emergere: «Sono nato in una famiglia povera. Dai 12 ai 17 anni ho avuto la stessa routine: sveglia alle 5, poi a lavoro fino alle 18 come controllore di biglietti sull’autobus e infine a scuola, dalle 19 in poi. Andavo a letto alle 23 e poi ricominciavo tutto da capo». E il pallone? «Non ho mai fatto scuola calcio da bambino, non c’è mai stato spazio in modo serio, poi un giorno un amico mi invita a una partitella. C’erano diversi osservatori. Pareggiamo 3-3, ma segno tre gol. Il resto è storia». 

Nato il 28 luglio, come Cellino

Brasile, Portogallo, Cagliari. Estate 2009: «Quando Cellino ha saputo che ero nato il suo stesso giorno, il 28 luglio, ha scelto di prendermi per forza. Mi voleva anche il Milan, ma il ‘pres’ si impuntò con Galliani. Mi ha trattato come un figlio, posso solo ringraziarlo. Lo sento spesso via messaggio. Ricordo che ogni tanto veniva da me e mi diceva ‘vedi? Sei fortunato. Siamo nati lo stesso giorno, ora devi fare gol». Otto il primo anno. Il più importante alla Juventus: «Se ne parla ancora oggi. Botta dai 25 metri alle spalle di Buffon. Uno dei miei guizzi più belli. A Cagliari sono stato da Dio per cinque anni. Sarei rimasto altri dieci, ma quando Cellino è andato via la nuova proprietà ha cambiato tutto e mi ha venduto. Peccato». 

«Il mio amico Astori»

Qualche flash. Il primo su Nainggolan: «Sono stato un fratello maggiore per lui. Lo prendevo da parte e gli facevo una ramanzina. ‘Smetti di fare cazzate, concentrati, sei un fenomeno, puoi arrivare ovunque’. Uno dei più forti mai visti». Allegri: «Mi spronava a dare il massimo. I primi tempi sono stati tosti. Non capivo una parola di italiano, ma mi ha aiutato». Ancora Cellino: «A gennaio 2010 sarei dovuto andare al Milan, ma non se n’è fatto nulla a casa di… Larrivey. Il 24 viene espulso contro il Siena e resto l’unica riserva di Matri, così il ‘pres’ dice di no. Forse non era destino». Infine Astori: «Il giorno in cui è morto ero a Bari. Quando l’ho saputo mi sono sentito male. Ho pianto tutto il giorno, da solo, senza parlare con nessuno. Ogni volta che guardo la Fiorentina vedo i tifosi fermarsi al tredicesimo minuto, in suo onore, e mi vengono i brividi. L’ho conosciuto da giovanissimo, in partitella mi marcava stretto. Porterò il suo ricordo dentro di me per tutta la vita». 

Futuro da allenatore

Dopo 26 gol in cinque anni Nené lascia Cagliari nel 2014. Sei mesi ombrosi a Verona, poi due anni e mezzo al top a La Spezia, ancora sul mare, venti gol in Serie B prima di una stagione a Bari. Nove gol in 28 partite. «Arriviamo ai playoff, ma il club fallisce e riparte dalla D. Sarei rimasto volentieri, i tifosi mi hanno voluto bene, ma non si è fatto vivo nessuno. Spero tornino presto in Serie A». Intanto Nené segna sull’Oceano, con un occhio all’orizzonte: «A maggio prenderò il patentino Uefa B, voglio fare l’allenatore. Tornare in Italia sarebbe magico». Basta stare sul mare.