Se gli nomini Fellini e Van Gogh, lui risponderà con un sorriso. Parlando con Zanellato si può spaziare, passando da un argomento all’altro. Dal cinema all’arte, fino ai viaggi. «Il mese scorso sono stato in Giordania, a Petra, e sono rimasto incantato. È un museo a cielo aperto. Vorrei sdoganare l’immagine del calciatore che parla solo di campo, io ho tante passioni e con i miei amici non parlo quasi mai di pallone». La chiacchierata con Niccolò Zanellato – centrocampista della Spal di 24 anni – inizia così, tra i ricordi dell’ultimo viaggio fatto e i racconti sui film visti e attori preferiti. «Se ti devo dire un nome di un attore ti dico Robin Williams, ma ce ne sarebbero tanti da fare. Film più bello? Nel mio cuore c’è ‘Il gladiatore’, con Russell Crowe protagonista, lo avrò visto cinque o sei volte».
Zanellato è così. Si racconta in modo schietto, diretto e senza paura di dire la sua. Personaggio sui generis. «C’è da fare una distinzione tra quando si è in campo e quando si è fuori. Perché io sono uno che durante gli allenamenti dà il cento per cento e che però allo stesso tempo, nel momento in cui si finisce, stacca. Esco con i miei amici di sempre e abbiamo veramente tante cose in comune. Facciamo viaggi, andiamo al cinema e vediamo musei. Il pallone ovviamente ha sempre avuto un ruolo centrale nella mia vita, però insomma non è l’unica cosa che esiste».
L’esordio e quel discorso di Bonucci: ‘Bravo, sembra che giochi con noi da sempre’
Riavvolgendo il nastro Niccolò si apre, tirando fuori aneddoti, curiosità e ricordi che porterà con sé per sempre. «Al calcio devo tutto. Mi ha regalato momenti unici e non lo dico per dire, sono veramente cose che per me rappresentano la felicità. Per un ragazzo nato e cresciuto a Milano esordire in Europa con il Milan è la cosa più bella che ci sia, credimi». Qui Zanellato si ferma e sorride come se volesse rivivere il momento. Poi riparte. «Me lo ricordo come fosse ieri. Giocavamo in Macedonia e Montella decide di darmi l’occasione di giocare dal 1’. Non mi ha regalato un esordio a fine partita, ma una prima volta da titolare in una Coppa Europea. Cosa puoi volere di più? Pensa che quella maglia se la sono litigata mio zio e mio padre per settimane e alla fine credo abbia vinto il primo».
Poi a un certo punto dal mazzo estrae però la foto copertina di quella notte. «Si, c’è una cosa su tutte che merita di essere raccontata. Finita la partita, tra l’altro vinta grazie a un gol del mio grande amico Cutrone – Bonucci mi mise al centro dello spogliatoio e iniziò a farmi i complimenti. ‘Sembra che giochi qui da sempre. Bravo, continua così’. C’era anche Montella che mi guardò sorridendo. È davvero un momento che rimarrà fissato nella mia mente, mi vengono quasi i brividi a parlarne».
Gol a San Siro e incroci del destino
Era l’agosto del 2017, Niccolò aveva appena compiuto diciannove anni. «Non avevo ancora la patente. Agli allenamenti mi accompagnavano Musacchio e Gustavo Gomez, che mi avevano preso sotto la loro ala, trattandomi sempre come uno di loro e mai come un ragazzino. In questo tutta la squadra è stata importante. Anche con Suso avevo stretto molto».Dopo sei mesi in panchina in rossonero, Zanellato però sceglie di andare via. «Volevo giocare con continuità». Va a Crotone. Il primo periodo è complicato, vede poco il campo e si trova davanti ostacoli che sembrano più grandi di lui. «Arrivavo dalla primavera del Milan, mi sono trovato in Serie A con intensità e ritmi diversi e tante difficoltà. Ero spaesato, sembravo planato da un altro pianeta. Mi sono serviti sei mesi di adattamento, poi ho preso il via. Ho vissuto momenti unici, come la promozione in A e il primo gol. Tra l’altro a San Siro, contro l’Inter. Proprio nello stadio in cui sognavo di giocare da bambino. Anche quel giorno in casa sono partite le litigate per la maglietta». Altro intreccio, altro incrocio di un destino che gli ha regalato tante cartoline da conservare e che oggi porta con se. Come fossero tatuaggi, segni che sanno di vita vissuta.
«Con Oddo basta uno sguardo, ci capiamo al volo»
Il presente dice Spal in Serie B, anche se l’obiettivo resta quello di tornare nella massima serie. «Ci sono stato per due anni, ho 28 presenze in A e credo di poterci giocare. Me lo dovrò meritare, ma punto a quello. È un traguardo che mi spinge a dare di più”. Parte della sua crescita passerà anche da Massimo Oddo, suo allenatore già ai tempi del Crotone e con cui si è ritrovato a Ferrara. «È bastato uno sguardo, non siamo due a cui serve parlare più di tanto. Ci capiamo al volo. Con lui a Crotone ho imparato molto, mi ha insegnato che dopo tre o quattro partite fatte bene non bisogna sentirsi arrivati, anzi che si deve continuare a lavorare per mantenere un certo livello». Il segreto sarà non fermarsi mai, andare avanti senza voltarsi. Al resto ci penserà il destino, Niccoló d’altronde è abituato agli incroci e ai cerchi che si chiudono. Nella speranza di portare, ancora una volta, giorni di discussione in famiglia. Vorrà dire che quella maglia avrà un significato speciale, come quel giorno in Macedonia o a San Siro contro l’Inter.
Lo salutiamo, l’appuntamento è alla prossima fotografia. Magari sarà un gol, oppure un viaggio o un film. Da uno come lui ci si può aspettare di tutto.