Penso che si cominci ad invecchiare nel momento in cui si smette di credere alle favole. Quando cercano di spiegarti dove finisce il cielo e resti ad ascoltare, in silenzio. Quando la vita inizia a mostrarti il suo lato più oscuro. Quando il calcio diventa un comune passatempo e non più l’unica ragione della tua esistenza.
Solo un gioco, nulla più.
Combattere contro l’ignoto è una pratica che andrebbe affrontata ogni giorno; ci servirebbe per capire quanto sono leggeri i limiti che ci imponiamo per chissà quale ragione. Siamo più forti di quello che pensiamo. Siamo stati abituati a frenare, a toglierci le ali ed appoggiarle nel cassetto degli “avrei potuto”, accumulando polvere e delusione. Ecco perché io sono sempre innamorato del calcio. Perché riesco ancora a trovare un significato epico nei singoli gesti che fanno parte della vita quotidiana dello spogliatoio, gesti che si impregnano di passione e forza.
I soldi non contano, la fama non conta. Quando c’è da scalare una montagna bisogna far ricorso alla voglia cannibale che anima un ragazzino che si infila gli scarpini per la prima volta e vola tra la terra e i sassi inseguendo pallone ed avversari, macinando chilometri senza sentire la fatica. Ci vuole coraggio e un pizzico di fortuna. Ma la fortuna non ti farà correre più veloce, non ti restituirà i litri di sudore bruciati, non ti attenderà sorridente dentro l’area di rigore. Dovrai andarla a prendere.
E questa scelta sarà la dimostrazione del giocatore e dell’uomo che vorrai essere: vincere o perdere, ma che importanza ha?
Guardarsi allo specchio e sorridere della propria dignità. Questo significa essere eroi.