«Non ho mai giocato per soldi. Contro la Fiorentina ci sarà l’inferno», l’intervista a Filip Djuricic

by Simone Bernardini

In un calcio sempre più costruito e artificiale, Filip Đuričić si contraddistingue per umiltà e trasparenza. Ad inizio carriera era uno dei giovani più ambiti d’Europa, tutte le big avevano messo gli occhi su di lui, compreso lo United con cui ha fatto una prova nel 2008: «Tutti mi dicono che avrei potuto fare di più, ma quando ne parlo non mi sento male e non ho rimpianti. Alla fine, se faccio un bilancio, penso di aver ottenuto quanto meritavo».

 È con questa grande consapevolezza che Filip Đuričić si racconta: «Io ho sempre giocato a calcio per il calcio, mai per soldi o per diventare famoso».

L’ARRIVO AL PANATHINAIKOS E L’IMPATTO IN GRECIA

Dalla stagione 2023/24 gioca in Grecia, al Panathinaikos e giovedì 6 marzo affronterà la Fiorentina nell’andata degli ottavi di Conference League: «L’impatto in Grecia? Lo dico sinceramente, credevo molto peggio. La vita è molto bella c’è sempre il sole, oggi c’erano 22 gradi».

E sul livello del campionato ci dice: «È interessante ci sono tanti derby, nelle prossime 7 ad esempio ne giochiamo 6. Essendo serbo conoscevo molto bene il campionato il campionato greco, sapevo che le prime 4 squadre fossero di livello per giocare in Europa. Ma sono rimasto sorpreso anche dal livello delle medio piccole».

Impossibile non chiedergli della grandissima rivalità che c’è tra Panathinaikos e Olympiakos: «È quella più grande e c’è in tutti gli sport dal calcio, al basket, alla pallavolo. È vero il detto ‘vincere il derby non è importante, è l’unica cosa che conta’. Se perdi un derby, non si esce per strada per giorni. Sono partite più brutte da vedere, con tanto agonismo, passione e tattica, ma chi vince vive sereno fino alla partita successiva».

Ci racconta poi anche dell’atmosfera che si respira negli stadi, per lui che ha avuto un grande trascorso anche in Italia: «Il tifo greco è più caldo dell’Italia. In Serie A ci sono grandi tifoserie, ma qua in Grecia sono caldissime».

Ma degli stadi italiani c’è qualcosa che lo ha colpito: «Ogni stadio ha un’anima. Ad esempio, Marassi è vecchio, ma ti dà una sensazione inspiegabile, ovviamente in senso positivo. E in quasi ogni stadio in cui ho giocato sentivo questo. Anche lo stadio del Napoli è vecchio, ma nell’aria si respirava qualcosa di speciale».

IL PROVINO AL MANCHESTER UNITED

Ma facendo un passo indietro abbiamo riavvolto il nastro fino a quando era solo un giovane ragazzo che sognava di sfondare nel calcio dei grandi: «A 16 anni è partito per Manchester per fare un provino con lo United: Mi allenavo con la prima squadra, con Ronaldo, Giggs, Ferdinand. Ero ospite a casa di Vidic, che era serbo e mi ha accolto come se fossi un fratello. Dormivo a casa sua e per me è stata un’esperienza enorme».

Questa esperienza era rimasta abbastanza nascosta: «Nessuno sapeva che fossi lì. Un giorno c’era la partita contro il Chelsea e c’era Mourinho in tribuna, che all’epoca allenava l’Inter. Lo hanno inquadrato e vicino a lui c’ero io. Apro il telefono e mi erano arrivati 2000 messaggi. Tutti mi scrivevano ‘come ca**o hai fatto a sederti vicino a lì, vicino a lui’. Io non capivo cosa stessi vivendo, non capivo quanto fosse grande».

LE STAGIONI ALL’HEERENVEEN E L’ESPLOSIONE

Il trasferimento ai Red Devils è poi saltato per alcune questioni burocratiche e Filip ha deciso di andare all’Heerenveen: «L’avevo scelto perché mi avevano dato garanzie, che avrei giocato. Hanno la cultura di puntare sui giovani. Sono rimasto lì 3 anni, i primi 6 mesi non potevo giocare perché ero minorenne e non potevo essere tesserato. Avevo fatto solo un torneo con l’U15 contro le migliori squadre d’Europa, ero stato premiato come giocatore più forte insieme a Isco e Eriksen».

A 20 anni, poi, arriva la stagione della consacrazione. Un’annata super in cui realizza 13 gol e 17 assist, attirando nuovamente gli occhi dei big club: «Mi sarei potuto liberare a zero, ma per rispetto della società e dell’opportunità che mi avevano dato, mi sono trasferito al Benfica, per 8 milioni di euro che nel 2013 erano una cifra enorme».

IL PASSAGGIO AL BENFICA E LA N.10

Anche se inizialmente Đuričić non era convintissimo della destinazione: «Avrei preferito andare in Inghilterra o Germania, avevo diverse offerte. Ma quando ho visto il progetto per me, mi sono convinto. Ero il N.10 di una delle squadre con la migliore storia d’Europa. Non potevo dire di ‘no’ a Rui Costa che mi era venuto a cercare di persona».

Dietro questa decisione c’è sempre stata anche un ragionamento di crescita, fare le cose step by step: «Fisicamente poi non ero pronto all’Inghilterra, ero convinto che sarebbe stato uno step intermedio giusto per giocare, fare esperienza in Champions e poi fare il grande salto che non è arrivato».

Forse il vero sliding door della sua carriera è qua, con una girandola di prestiti, che non sono mai riusciti a valorizzarlo a pieno: «Quando sei giovane sei più emotivo e incosciente. Se fossi rimasto al Benfica magari le cose sarebbero andate diversamente. Ma ero andato lì per giocare e invece trovavo poco spazio e il mondo mi è crollato un po’ addosso».

Sull’esperienza in Portogallo, però, ci sono anche ricordi belli e le memorie di aver condiviso il campo con alcuni dei futuri campioni: «Il Benfica è sempre stato fortissimo coi giovani. Quando ero lì, in seconda squadra c’erano: Renato Sanches, Bernardo Silva, Rúben Dias, Lindelöf, Cancelo, Semedo, Oblak ed Ederson. Era un livello assurdo».

L’ARRIVO IN SERIE A

Nel 2016 è all’Anderlecht, in Belgio, ma sente che è il momento di fare il grande passo: «Facevo la Champions, ma mi ero reso conto che era arrivato il momento giusto per fare il salto e passare in un grande campionato. La Samp era una scelta logica, giocava con il trequartista e Giampaolo ci teneva a fare calcio».

In blucerchiato non ha avuto grandissimi risultati, ma si percepisce la sua reale gratitudine quando ne parla: «Non conoscevo bene la squadra, ma lo dico dal profondo del cuore la Sampdoria è un grandissimo club. Non ho avuto belle stagioni in termini di risultati sia personali, che come club, ma è una squadra straordinaria».

I MIGLIORI ANNI NEL SASSUOLO DI DE ZERBI

Dopo la Sampdoria, e il prestito al Benevento, arriva la chiamata del Sassuolo: «In Italia il mio momento migliore è stato con De Zerbi, abbiamo giocato un calcio pazzesco contro tutti. La Serie A a livello di nomi era molto più forte di adesso e noi abbiamo aperto gli occhi a tutti, che si poteva giocare in quel modo».

Non si nasconde quando parla del suo ex allenatore: «De Zerbi non mi ha insegnato niente di particolare, ma mi ha spiegato perché si fanno certe cose. Ho avuto 20 allenatori, ma ancora adesso vedo che De Zerbi è a un livello superiore rispetto agli altri. Mi aspettavo tutto il successo che ha avuto, ma sto aspettando che cresca ancora di più».

IL RAPPORTO CON IL FANTACALCIO

Il suo momento migliore in Italia coincide anche con la stagione più prolifica, nel biennio 2019-2021 segna 10 gol e realizza 11 assist e ci viene spontaneo chiedergli cosa ne pensa del Fantacalcio: «Mi arrivavano messaggi ma non ci davo peso. Non mi portava pressione, ma è un gioco che mi piace».

Legato al Fanta, ci racconta anche che il suo pensiero sulle statistiche: «Io non vivo per i numeri, per me sono la malattia del calcio. Negli ultimi 10 anni si guarda solo ai gol e agli assist. Anche i calciatori hanno cambiato il ragionamento, cercano di fare più assist e gol. Per me invece dovevo giocare bene e dimostrare di essere bravo».

Ci racconta così che tipo di calciatore era al Fantacalcio: «I gol e gli assist erano una questione secondaria, ma per certe persone erano fondamentali… mamma mia. Mi arrivano tanti messaggi. Io giocavo sempre da 7, poi magari qualche volta facevo bonus, ma non erano soddisfatti».

Dopo aver girato tanti campionati in Europa, ha trovato la sua dimensione in Serie A, dove ha trascorso 6 stagioni: «Per me era un sogno giocare in Italia. Tanti serbi preferiscono la Serie A alla Premier League, perché quando erano ragazzini c’erano bandiere della Nazionale che avevano giocato qui. Non posso che essere contento, ho giocato 150 partite in un campionato così forte».

LE SENSAZIONI PER LA SFIDA CONTRO LA FIORENTINA

Tornando più sull’attualità, invece, gli chiediamo come vede la sfida agli ottavi di Conference contro la Fiorentina: «In questo momento la detentrice è una squadra greca, che ha battuto proprio i Viola. Hanno dimostrato che si può fare e noi abbiamo questo in mente».

Ci spiega anche come ci arrivano a questa sfida: «Non siamo nel nostro momento migliore di forma, abbiamo perso un paio di partite nell’ultimo mese e mezzo. Ma nel nostro stadio, dove ci sono più di 55 mila persone… l’atmosfera sarà un inferno per i ragazzi della Viola. L’ultima partita che abbiamo perso in casa è contro il Chelsea ad ottobre».

Oltre al Chelsea quali sono le grandi favorite? «Secondo me loro sono senza avversari fin dall’inizio. Dietro ci metto il Betis e la Fiorentina. Noi ci auguriamo di ritagliarci il nostro spazio, magari al posto della Fiorentina. Siamo una mina vagante».

COM’È LA CONFERENCE VISSUTA DA DENTRO

La Conference appare una competizione tutta diversa, un po’ mistica. Filip ha giocato in Champions ed Europa League e gli chiediamo un po’ se ci sono differenze: «Quando sei una squadra forte in Conference, hai tutto da perdere. Perché devi fare bene e non puoi permetterti di uscire contro squadre piccole. Altrimenti è un disastro. La cosa strana è che è una competizione europea, ma ci sono squadre piccole. Ai play-off siamo andati in Islanda, sul sintetico, a -15 gradi, senza tifosi e dopo un viaggio lungo. Devi trovare la concentrazione giusta, è diverso rispetto all’Europa League o alla Champions dove la motivazione viene da sé».

E IL FUTURO?

A 33 anni si diverte ancora a giocare a calcio e non ha mai pensato al ritiro, ma se gli chiediamo di immaginarsi tra 8 anni ci risponde così: «Mi vedo come allenatore. Ho cambiato tanti paesi e conosciuto tanto mister. Ho in mente di farlo, ma non sono sicuro perché gli allenatori quando iniziano sono freschi, dopo due anni sono provati. Ho parlato con Peluso, un mio ex compagno a Sassuolo e ora nello staff della Fiorentina, mi ha detto: ‘Gioca quanto puoi, fino a 40 anni e anche più’».

Adesso è uno dei giocatori con più esperienza nello spogliatoio, gli chiediamo che effetto faccia: «Ho la ‘baby face’ ma non sono così giovane. L’altro giorno è venuto ad allenarsi in prima squadra un ragazzo del 2008, io in quell’anno esordivo tra i grandi. Questo è un po’ strano per me».

Ci riserviamo, come ultima domanda, di chiedergli di raccontarci quale sarebbe l’ultimo desiderio che vorrebbe esaudire da calciatore: «Un trofeo europeo». È la prima risposta secca che ci dà.

Ci proverà in questo doppio confronto con la Fiorentina e poi chissà…