Quelli del Nottingham Forest se ne stavano davvero nella loro foresta da più di vent’anni, incappucciati e nascosti, come briganti del pallone con gli scarpini al posto gli archi. Aspettavano il momento giusto dopo anni di duri schiaffi e delusioni forti, prima che a Sherwood arrivasse l’uomo del miracolo. Il Robin Hood dei tempi moderni ha i lineamenti duri, due incisivi sporgenti e soprattutto non viene da Nottingham, bensì dal Galles, capopopolo di Pontypridd, città di ponti in muratura.
Nottingham Forest, per rubare ai ricchi
Steve Cooper ha riportato il Nottingham Forest in Premier League dopo 23 anni. Un autogol di Colwill ha deciso la sfida con l’Huddersfield. Cooper l’ha fatto a Wembley, il tempio del calcio, dove i rossi non mettevano piede da trent’anni. Poveri non sono, ma torneranno nel calcio dei ricchi e magari ruberanno qualcosa. Domenica, a Londra, la metro è stata tappezzata di adesivi con il volto cupo e lo sguardo torvo di Brian Clough, quello del «Maledetto United». Uno che ha sempre dribblato falsi sorrisi e complimenti, scegliendo un’arroganza genuina: «Non direi di essere il miglior allenatore al mondo, ma sono nella top one». Nel 1979 e nel 1980 ha vinto due Coppe dei campioni di fila dopo aver fallito malamente a Leeds, dove forse era andato più per sfasciare la squadra del suo storico rivale, Don Revie, piuttosto che per costruire.
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Il miracolo di Steve Cooper
Il Nottingham Forest in Premier sa di impresa. L’anno scorso è arrivato diciassettesimo, nel 2016-17 ventunesimo. Alti e bassi, altissimi e bassissimi, un’altalena di incertezza a cui i tifosi erano abituati. Il Guardian ha scritto che la promozione del Nottingham è «una dose di romanticismo in tempi complicati». La polo nera di Cooper, macchiata dallo Champagne e dalle lacrime a fine partita, è un inno alla gioia. I giocatori l’hanno descritto come «duro, esigente, meticoloso, maniacale, tosto», ma al tempo stesso come un «one of us». Uno di noi. «Ho chiesto a tutti di fidarsi di me, nessuno ha mai vacillato».
«Voglio puntare alla Premier»
A inizio anno ci credeva solo lui. A luglio radunò la squadra a centrocampo e le fece un discorso: «Voglio puntare alla Premier». Un po’ come il Leicester di Ranieri a gennaio 2016, dopo una sfilza di vittorie. Eugenio Fascetti, allenatore della storica banda dei -9 della Lazio, cioè nove punti di penalizzazione in Serie B nel 1986/87, fece quasi la stessa cosa. «Chi ci crede resti, chi non vuole può andar via. Rimanemmo tutti». E salvezza fu. Joe Worrall, centrale difensivo titolare, ha parlato così di Cooper: «Ha preso quella che sembrava una squadra disadattata che aveva poca fiducia, senza capacità offensive particolari, e l’ha portata in Premier». Anche grazie all’aiuto di Evangelos Marinakis, patron greco del Nottingham e dell’Olympiakos. Figlio di un armatore, è il proprietario di Mega Channel, prima rete televisiva privata in Grecia.
Sulla scia di Foden
Coi giovani ci ha sempre saputo fare. Nel 2017, da c.t. dell’Inghilterra baby, ha vinto il Mondiale U17 con Foden miglior giocatore. A Nottingham ha scelto di puntare su Brennan Johnson, fantasista, capocannoniere con 16 gol e 9 assist in 46 partite. Le ha giocate tutte. Ha 21 anni e una vita davanti. Dietro di lui Lewis Lewis Grabban, punta navigata, 34 primavere e 12 schiaffi in Championship. Il più anziano della compagnia insieme al terzino Gaetan Bong, stessa età. Grabban gioca a Nottingham da quattro anni e ne ha viste tante. Quando gli hanno chiesto se credesse davvero al miracolo ha risposto che si poteva annusare facilmente quando entravi nello spogliatoio. «C’erano solo vibrazioni positive, abbiamo lavorato in modo duro». Di nascosto, nella foresta, aspettando il momento giusto. Ora si va a caccia i ricchi.