«Non lo so bene neppure io perché sono qui a fare questa cosa. Ma mi sono detto: parto per la prima tappa e vediamo. Non voglio mai perdere, lo detesto».
E tutto perché un giornalista le chiese se avrebbe fatto una cosa particolare in caso di salvezza del Crotone, che sembrava impossibile.
«Se ci pensa è paradossale: perché, se devo dimostrare che credo fortemente in una cosa, in questo caso che il Crotone sarebbe rimasto in A, devo prometterne una che non ha senso? Cosa cambia se ti dico che sono disposto a camminare per 5000 km? Ci credi di più? Ma si vede che le persone hanno anche bisogno di qualche assurdità. E io ho accettato la sfida, avevo lanciato un messaggio e la gente si aspettava che dessi seguito. Quando le parole escono dalla bocca devono tradursi in azione, sennò non hanno senso. Del resto ciò che vedi di te stesso non è mai ciò che vedono gli altri».
Quello è un eterno problema.
«Ora io sono quello che ha portato a termine la missione impossibile, ma non è un po’ una tristezza? Se non ci fossimo salvati tutta questa magia non ci sarebbe stata. Ma viviamo spesso in funzione di ciò che ci muove rispetto agli altri, siamo anzi in contrapposizione. E ci si aspetta da noi personaggi pubblici un comportamento da superuomo, ma non quello di Nietzsche: ora il superuomo è quello che ha successo. Io sono un uomo pubblico ma anche un papà e un marito, se mi costruissi un’altra realtà sarebbe effimera, mi creerebbe un vuoto dentro che pagherei a lungo andare».
Ma scusi lei non lo cerca, il successo?
«Vorrei vincere dieci Champions di fila, certo. Ma io ascolto il mondo e trovo sempre le risposte che cerco. Ho bisogno di vivere emozioni molto forti. Perché mi dà equilibrio. Le emozioni non ti fanno fuori mai, lo diceva già Vasco Rossi. Le emozioni non ti tradiscono. Le emozioni mi liberano, più sono forti meglio è, mettono in atto dentro me un processo chimico che mi fa desiderare, volere, dare il meglio di me, notare ogni particolare, come se tutto venisse ingigantito. Quando è accaduta la cosa di Alessandro, anche se non voglio parlarne mai…».
Alessandro era uno dei suoi cinque figli, è morto a 14 anni nel 2014 per un incidente in bici.
«Lo so che tutti vorrebbero chiedermi, lo vedo dagli occhi delle persone, ma sono in difficoltà. Capisco. Quel giorno, a parte il dolore che ti strappa le viscere, mi si è bloccato il tempo. E in quel preciso istante, mentre guardavo la scena, di cui ricordo ogni infinitesimo particolare compresi la forma e il colore delle pietre del selciato, ho capito di colpo chi ero, quello che volevo, quello che temevo. Mi sono sentito un gigante con tanti lillipuziani intorno e un lillipuziano circondato da giganti. Ora, io ho metabolizzato il fatto che Alessandro non sia più con noi e che c’è un tempo di vita per tutti. Ma so che lui mi ha insegnato più cose di chiunque altro nella mia vita. Essere contento senza un apparente motivo, a prescindere; essere sempre occupato con qualcosa, fosse pure un’attività qualsiasi come un disegno; desiderare con forza innaturale ciò che veramente si desidera, proprio come fanno i bambini. Queste cose ora sono passate a me, fanno parte di me».
E ora lei cos’è, che persona è?
«Sono un pozzo senza fondo. Mai soddisfatto. Sono perseverante ma non paziente, spesso non ascolto cose che già so non mi interesseranno, ho sviluppato una certa ipersensibilità nei confronti delle persone, capisco subito se tu potrai avere un rapporto con me. Mia moglie dice che sono un tornado che entra in un buco nero… fa ridere, no? Lì tutto si azzera, la teoria del tutto ha dimostrato che il buco nero rilascia particelle, fino a esaurirsi. Mi interessa la fisica quantistica, sì, i suoi paradossi, come l’esperimento delle due fessure. Anche noi siamo energia, i nostri pensieri sono potenti, anche se non lo crediamo, ma i pensieri hanno un’evoluzione nel nostro inconscio, che poi è il 95% della nostra mente».
Di cosa ha paura?
«Le tre grandi paure dell’uomo sono quella della morte, delle critiche, della solitudine. Dobbiamo combatterle. Siamo fatti per un quarto della nostra genetica, un quarto di chi ci circonda, un quarto il tempo in cui viviamo, un quarto le influenze esterne dei media e dei messaggi subliminali che ci rifilano. Si trova la via quando definiamo la nostra unicità. E la cosa peggiore è che non c’è un’età per trovarla. L’esperienza non ti aiuta, è solo una lampada che ti illumina la schiena ma non il cammino».
Quando scenderà dalla bici, domenica, dove andrà?
«Mi isolerò e non esisterà più niente per un po’. Poi ridiventerò il cannibale che cerca un altro obiettivo. È un periodo che tutti mi fanno i complimenti: alla lunga, mi hanno annoiato».