Doppietta, decisiva, al Mapei Stadium. Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. Così, se il Milan è campione d’Italia per la sua 19° volta – 1976 giorni dopo l’ultimo trofeo, la Supercoppa italiana vinta il 23 dicembre 2016 a Doha contro la Juventus – è merito (anche) di Olivier Jonathan Giroud. Che gioca nella squadra statisticamente più giovane ad aver vinto lo Scudetto nell’era dei tre punti a vittoria (26 anni e 97 giorni) ma ne alza drammaticamente la media anagrafica. Ha 35 anni e percepisce 3,5 milioni netti d’ingaggio. La metà di Zlatan Ibrahimović, che di anni il prossimo 3 ottobre ne compirà 41 e che l’anno scorso ha guidato il Milan campione d’inverno: 10 gol in 8 giornate, poi l’infortunio muscolare, la presenza al Festival di Sanremo e un crollo dei rossoneri sorpassati dai cugini dell’Inter. Quanto a Ibra, infortuni vari lungo tutto il 2021 e una presenza meno frequente in campo. Comunque 8 gol, tra cui la punizione segnata al Genoa, ma una spalla d’eccezione su cui contare. Giroud, che non s’è fatto pregare: ha fatto la differenza.
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La maledizione del numero 9
Nell’estate 2001, al Milan arriva Filippo Inzaghi e in rossonero gioca 11 stagioni, diventando una leggenda del club. Segna 126 gol in 300 partite, compresi due nella finale di Champions 2007 ad Atene contro il Liverpool. Lascia un’eredità pesante a chi dopo di lui indossa la maglia numero 9. Falliscono in tanti. Il primo è Alexandre Pato, che dopo 5 stagioni con la numero 7, nel 2012/13 adotta il 9: 4 partite in Serie A e due reti in Champions. Inizia qui la maledizione della numero 9 del Milan. Matri ci segna un gol nel 2013/14, l’anno dopo spetta a Fernando Torres (1) che però a gennaio va all’Atlético Madrid e lascia posto e numero a Mattia Destro (3) in prestito dalla Roma. Non va meglio a Luiz Adriano nel 2015/16 (6) – che difatti al secondo anno prende il 7 ma non segna – né a Gianluca Lapadula (8 reti nel 2016/17), André Silva (10 nel ‘17/18) e Gonzalo Higuaín (8 nel ‘18/19). Curioso quel che accade a Krzysztof Piątek: arriva a gennaio 2019 dal Genoa, segna 11 gol il primo anno col 19 e sfida la maledizione. Risultato? In sei mesi segna 5 reti e a un anno dal suo arrivo lascia spazio a Ibrahimović, che – saggiamente? – rifugge la nove. Poi lo scorso gennaio arriva Mario Mandžukić: incurante della maledizione si cimenta con la cabala. «Non importa quel che c’è sulla schiena, importa quel che c’è davanti»., ma gioca 10 partite in sei mesi e non riesce a segnare…
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Giroud, da Londra con furore
E infine arriva Giroud. Che non ha mai indossato il numero 9 in squadre di club: a Grenoble aveva il 22, a Istres e Tours il 12, al Montpellier il 17, poi di nuovo il 12 nei suoi sei anni all’Arsenal, quindi il 18 nei quattro al Chelsea. Al Milan si presenta con sfacciataggine: «Non credo nella maledizione, in fondo la 9 l’hanno vestita pure Papin e van Basten». A differenza di Mandžukić, il francese ha subito ingranato. È diventato il primo numero 9 a segnare più di 10 gol dal 2012. Undici gol in 29 partite, non segnava così tanto dal 2018/19 (quando undici gol li ha realizzati in 14 partite di Europa League però), sennò torniamo ai tempi dell’Arsenal. Una garanzia, Giroud: arrivato dal Montpellier campione di Francia nel 2012, segna 11 in Premier League 2012/13, 16 l’anno dopo, quindi 14 al terzo anno, 16 al quarto e 12 al quinto. Poi lascia l’Arsenal per il Chelsea, a gennaio 2018. Iniziare bene l’anno è una sua prerogativa. Il 1° gennaio 2017 aveva segnato così al Crystal Palace un gol che dodici mesi dopo gli avrebbe fatto vincere il Puskas Award…
FIFA Puskas Award winner 2017: @_OlivierGiroud_ 👏👏👏
Congratulations Oli, we’re all proud of you 🙌 #TheBest#NaNaNaNaa 🦂👑 pic.twitter.com/JZfuTf9NOC
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Doppiette, doppiaggio, destino
Sono 3 le doppiette di Olivier Giroud in questa stagione. Strategiche. L’ultima ieri al Mapei Stadium. La prima il 29 agosto scorso col Cagliari, nella vittoria per 4-1. La seconda il 5 febbraio scorso, nel derby di Milano: era dal 2004 che i rossoneri non ribaltavano una stracittadina in Serie A. Di nuovo: l’anno prima era stato Ibrahimović a segnare due volte, il 17 ottobre 2020. Stavolta, sa molto di staffetta. Così Giroud porta il Milan a -1 dall’Inter. Soffio sul collo. Tutto nel destino. Perché lo scorso ottobre, in un’intervista al Guardian, il francese si racconta. E tra le altre cose spiega di quella volta nel 2017, quando «un segno dal Cielo» ricevuto da un’amica di famiglia gli suggerì di non trasferirsi all’Everton. Tutto riversato nella sua autobiografia, Always Believe. «Scrivo anche del perché sono rimasto al Chelsea invece di firmare per l’Inter. Dio ha un piano per ogni singola persona qui sulla Terra». Detta in modo diretto: «In passato ero vicino all’Inter, evidentemente Dio voleva giocassi per il Milan», come ha spiegato in un’intervista a L’Équipe. Magari era nel destino pure che Giroud doppiasse la versione francese di Spiderman, uscita a dicembre 2018. Assieme a lui c’è un altro campione del Mondo, Kimpembe: a lui tocca Scorpion, Olivier presta la voce a Green Goblin.
Parlava così nel 2020 #Giroud, con Sheva sempre nel ❤️ pic.twitter.com/hLRUqiPGgR
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Giroud, la fede e l’Italia nel sangue
Il Milan è comunque nel destino. Come quando, a 20 anni, Olivier Giroud decide di farsi crescere i capelli per assomigliare a Cannavaro o Nesta. Sempre a 20 anni, opta per un tatuaggio. Ne parla con sua madre che suggerisce un versetto della Bibbia. Da qui al Dominus Regit Me Et Nihil Mihi Deerit sul braccio destro, il passo è breve. «Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla». Sul braccio sinistro, invece, una croce. Ma l’Italia era nel suo destino pure perché al Mondiale 1994 poi la Francia non si era qualificata e Giroud, 8 anni allora, tifava proprio Italia: «Quando Baggio ha sbagliato il rigore decisivo, ho pianto». Ma a dirla tutta è lo Stivale in generale a essere nel destino di Giroud, italiano da parte di nonna sia materna (veneta) che paterna (bergamasca). Tra i racconti sulla guerra e l’inno francese, Olivier Jonathan Giroud ha fatto strada: ai tempi dell’Università di Grenoble, si allenava al mattino e studiava al pomeriggio. Aveva una promessa fatta ai suoi amici da mantenere: «Un giorno vincerò il Mondiale». Ci riesce nel 2018. Quattro anni dopo, ha appena vinto – da protagonista – uno Scudetto col Milan. Altro che numero nove…