L’11 maggio ad Atene s’è giocato il derby e nessuno era contento. Lo ha vinto 2-1 il Panathinaikos di Brignoli – titolare, in un’intervista a Cronache aveva ammesso: «Il tifo in Grecia è un’altra roba. I ragazzi me l’hanno detto, è la partita più importante» – sull’Olympiakos di Pedro Martins, il tecnico portoghese che la settimana scorsa ha vinto il suo terzo campionato di Grecia in tre anni. A fine partita, Martins era insoddisfatto: «Capisco la rabbia dei tifosi, abbiamo perso oggi ma abbiamo vinto il campionato». E che campionato: il 47° nella storia. Abbastanza neutro anche il serbo Ivan Jovanović, il 59enne che da luglio allena il Panathinaikos: «È importante vincere il derby, ma come posso festeggiare quando siamo a -21 dall’Olympiakos?». Sì, in classifica non c’è storia. Ma i biancoverdi hanno comunque rovinato la festa dei biancorossi, che non perdevano in casa da oltre 22 mesi. Era il 12 luglio 2020, vittoria per 1-0 del PAOK al Georgios Karaiskakis, lo stadio dell’Olympiakos, dedicato al leggendario eroe della guerra d’indipendenza ellenica caduto in battaglia proprio in quella zona, il 23 aprile 1897. Era il suo onomastico, il giorno di S. Giorgio.
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L’Olympiakos e lo strapotere di Atene
Il derby era comunque ininfluente, l’Olympiakos ha vinto il campionato già lo scorso weekend al Toumba, stadio del PAOK Salonicco. Il PAOK ha vinto la Super League greca nel 2019, poi però ad Atene è arrivato Pedro Martins e non c’è più stata storia. Ma già prima l’Olympiakos regnava incontrastato. Dal 2007 – con la riforma della Super League – a oggi, 13 campionati su 16 sono finiti a Il Pireo. Il conto è ben più spaventoso dal 1997 a oggi: l’Olympiakos ha vinto ben 22 dei 26 campionati. In totale come detto sono 47: oltre il doppio del Panathinaikos (20), quasi quattro volte l’AEK (12). Se ancora non si fosse capito, il calcio greco è Atene-centrico: solo 7 campionati nella storia sono finiti altrove. Sei a Salonicco (equamente divisi tra PAOK e Aris) e uno a Larissa nel 1988, città natale di Vangelis Moras: un passato da difensore in Serie A, la lotta alla leucemia del fratello Dimitris, la carriera chiusa proprio a Larissa l’anno scorso.
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Dal ping pong alle acciughe
L’Olympiakos nasce nel 1925 a Il Pireo. È una polisportiva: sedici discipline, non solo calcio e basket, pure il ping pong. Alcune sezioni sono gestite dal Gate 7, la principale sezione del tifo organizzato. Nello stemma del club c’è un giovane olimpionico rigorosamente con la corona di alloro sul capo, «simbolo di leale concorrenza» secondo l’ideale di Pierre de Coubertin. Calcio: tanti titoli in bacheca, 47 campionati, 28 Coppe, 4 Supercoppe di Grecia. E due soprannomi particolari. Uno è Θρύλος, “thrilos”, “la leggenda”, ereditato dal periodo 1954-59, quando l’Olympiakos vince 5 campionati di fila. Un record battuto di recente: 7 titoli consecutivi, sia dal 1997 al 2003 che dal 2011 al 2017. L’altro soprannome è Γαύρος: si legge “gavros”, vuol dire “acciughe” ed è il soprannome dei tifosi biancorossi. Forse deriva dal pesce azzurro che i pescatori vendevano sulle banchine del porto a Il Pireo. Forse deriva da un mitico derby del 1965 in cui i sostenitori del Panathinaikos accolsero i rivali con delle casse d’acciughe. Per loro era uno sfottò, per gli altri un orgoglio e da lì sarebbe nato il soprannome.
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Da Choutos al Milan, in Europa
L’Olympiakos è una gigantesca collezione di figurine. Ci hanno giocato Christian Karembeu e Rivaldo, Predrag Đorđević e Lampros Choutos (prima di trasferirsi all’Inter), Kostas Mitroglou e Kevin Mirallas, Javier Saviola e Alejandro “Chori” Domínguez. Nell’estate 2004, il portiere del Panathinaikos Antōnīs Nikopolidīs vince da eroe l’Europeo e subito dopo va all’Olympiakos: i suoi ex tifosi non lo perdonano nemmeno alza al cielo l’unica coppa mai vinta dalla Grecia nella storia (oggi comunque Nikopolidīs è d.t. di una squadra di rifugiati, la Hope Refugees). Questo e altro è l’Olympiakos: coreografie spettacolari – memorabili quelle dedicate a Call of Duty o Rocky – e notti storiche in Europa. Due successi all’Emirates sull’Arsenal restano impressi: 2-3 nel 2014 con gol decisivo dell’islandese Finnbogason e 1-3 a marzo 2021, con zampata nel secondo tempo supplementare del marocchino Youssef El Arabi. E che succede il 13 dicembre 2018? A Il Pireo si gioca Olympiakos-Milan, ultima giornata d’Europa League. Tifo incandescente, coreografia stile La Casa de Papel (La serie Netflix La Casa di Carta), con copy variato in La Casa de la Leyenda. Ai greci serve vincere con due gol di scarto. All’81’, un rigore di Kostas Fortounis elimina i rossoneri. Il Karaiskakis è in visibilio.
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I quattro nomi dell’Olympiakos
Sono quattro i protagonisti del titolo. Uno è Tomáš Vaclík, 33enne portiere ceco di Ostrava, ex Sparta Praga. Nel 2021 è titolare a Siviglia, poi si mette in luce il marocchino Bono, titolare il 21 agosto 2020 nella finale d’Europa League vinta sull’Inter. Vaclík è ai margini, così va all’Olympiakos, che ha appena ceduto José Sá al Wolverhampton, che ha appena ceduto Rui Patricio alla Roma di Mourinho. Poi c’è Sokratis Papastathopoulos, ex difensore di Genoa e Milan: da inizio 2022 accanto a lui c’è pure l’ex napoletano Kostas Manolas, tornato al club salutato nel 2014 per trasferirsi alla Roma. Il terzo è Yann M’Vila – chi lo ricorda all’inter? – titolare a centrocampo e autore di un gol decisivo in un derby con l’AEK. Infine le due punte, ex aequo. Uno è il brasiliano Tiquinho Soares, ex Porto, 13 gol tra campionato e Coppe. L’altro è il sopracitato Youssef El Arabi, 35enne, macchina da gol: 20 gol quest’anno di cui 10 in campionato. Meno dei 27 di due anni fa, o i 28 dell’anno scorso. Tutti festeggiati col gesto della mitraglia. Ma va bene così: di questi tempi, un anno fa, veniva condannato dal tribunale di Montpellier a un anno di carcere.