La differenza tra oriundi e naturalizzati

by Grei Hasa
oriundi naturalizzati

«Chiamerò altri oriundi. Abbiamo una percentuale minima di giocatori in Serie A. Nella Svizzera 15 su 20 sono oriundi. Il Belgio uguale. Francia, Germania, Inghilterra pescano tra gli oriundi. Noi fino a un po’ di anni fa avevamo giocatori forti e non ne avevamo bisogno» ha detto in conferenza stampa il c.t. della Nazionale Roberto Mancini. Ma le cose stanno proprio così? Il punto, in realtà, è che c’è una grande differenza tra oriundi e naturalizzati. L’oriundo è colui che è nato ed è residente in un paese estero, ma ha discendenze italiane (Retegui per intenderci). Il naturalizzato è una persona residente in Italia per almeno 10 anni consecutivi e che ha richiesto ed ottenuto di diventare cittadino (è il caso di Gnonto, nato e cresciuto in Italia). Non vanno confusi.

La differenza tra oriundi e naturalizzati

Ma cosa hanno fatto quindi realmente le federazioni che Mancini vorrebbe prendere come modello? Partiamo dalla prima citata: la Svizzera. Il Paese è stato soggetto di una ondata migratoria partita dai Balcani in seguito alla guerra degli anni ’90, ed è diventato un esempio di integrazione sociale, che si riflette nel campo sportivo.

Gli elvetici hanno creato “centri di sviluppo giovanile” tramite i quali si identificano i giovani talenti calcistici provenienti da tutte le parti del paese, inclusi i bambini e i giovani di famiglie straniere. Questi centri sono direttamente gestiti dalle associazioni cantonali di calcio e dalla Federazione Svizzera (SFV) e sono strettamente collegati alle squadre professionistiche elvetiche. Ecco perché ci sono così tanti svizzeri naturalizzati nella nazionale. In Qatar, invece, c’erano solo due oriundi: Embolo e Shaqiri.

La rivoluzione di Belgio e Francia

Discorso simile, ma ancora più strutturato per il Belgio. I Diavoli Rossi sono passati dal 66° posto nel ranking del 2009 al 1° posto, ottenuto per la prima volta nel 2015, grazie a una delle riforme più efficaci della storia del calcio. All’indomani dell’eliminazione ai gironi al Mondiale del 2010, la federazione decise di rivoluzionare il sistema.

Molti più investimenti nelle scuole calcio e negli impianti sportivi per ragazzi: venne creato un progetto al quale collaborarono anche le tre squadre principali del paese, l’Anderlecht, il Genk e lo Standard Liegi, e si impose a tutte le squadre giovanili di giocare con il 4-3-3, per uniformarsi alla nazionale maggiore. Anche i metodi di allenamento furono uniformati in tutto il paese: dai ragazzini ai professionisti, tutti iniziarono ad allenarsi nello stesso modo, con gli stessi esercizi e con identici sistemi di gioco. Anche il Belgio ha tanti naturalizzati, ma in Qatar c’era un solo Oriundo: Onana.

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Anche la Francia ha reagito ai fallimenti creando un sistema, che decenni dopo, ha trasformato una nazionale rimasta fuori dai Mondiali del ’90 e del ’94 a padroneggiare in Europa e nel mondo in questo decennio. Ne abbiamo parlato a più riprese: in Francia, oltre all’integrazione di talenti nati o cresciuti nel paese, si è avviato il metodo dei centri nazionali di formazione.

Sicuramente il più famoso è quello di Clairefontaine, poiché è il centro da cui è uscita gente come Mbappé e Henry. Ma il sistema è capillare: c’è un centro di formazione in ogni regione francese. I talenti più promettenti vengono ‘coltivati’ per un biennio all’interno di queste accademie nelle quali si insegna calcio, ma non solo. All fine dei due anni, i calciatori vengono spesso selezionati da squadre professionistiche e danno inizio alla loro carriera.

Parola di chi ci ha vissuto due anni. «Non possiedo il talento di Messi» diceva Matuidi. «Senza gli anni di Clairefontaine non avrei potuto giocare in Champions League o in Nazionale. Il tecnico Lafargue mi ha indicato la strada da percorrere dandomi i consigli giusti per diventare quello che sono oggi».