di Giacomo Brunetti
Simone Padoin è uno dei calciatori più umili mai transitati negli stadi italiani. Apprezza ciò che ha fatto scrivendo la storia con la Juventus e ritagliandosi sempre uno spazio importante. A volte non da protagonista assoluto, ma sempre indispensabile. Ha scelto di raccontarsi a Cronache di Spogliatoio dopo aver appeso gli scarpini al chiodo.
«Si era venuta a creare una situazione particolare, l’Ascoli aveva esigenza di rescindere e io ho accettato. Dentro di me stavo già covando il desiderio di provare qualcosa di diverso: vorrei diventare allenatore delle giovanili. Mi conosco, potrei avere un buon impatto sui ragazzi. Dobbiamo essere consapevoli di una cosa: non siamo eterni. Da tre anni avevo in mente il mio futuro: mi fermavo sia a Cagliari che ad Ascoli a vedere gli allenamenti della Primavera. Sono tornato a Bergamo, a casa mia dalla mia famiglia, mia moglie ha aperto una palestra e sto facendo un corso per darle una mano».
«Inzaghi mi chiedeva i segreti di Conte, Pirlo si sente pronto»
Durante la propria carriera, Simone Padoin ha condiviso lo spogliatoio con due protagonisti tra le panchine di questa Serie A. Primo su tutti Simone Inzaghi, condottiero di una Lazio sempre più realtà consolidata.
«Ho conosciuto Simone a Bergamo, era a fine carriera. Prima ti ho detto che in tanti mi hanno consigliato di partire dal settore giovanile: lui è stato tra i primi a farlo. Così è stato il suo percorso: quando allenava gli Allievi della Lazio andammo in vacanza insieme a Ibiza, mi ha tormentato per una settimana con domande sulla Juventus e Antonio Conte, che mi allenava. Ha un amore folle e ossessivo per il calcio, già da giocatore conosceva tutte le rose della Lega Pro. È simpatico e si faceva amare da tutti, spesso parla in modo allegro delle cose serie e non capisci se scherzi o meno».
Padoin ha condiviso il campo anche con Andrea Pirlo, condividendo con l’attuale tecnico della Juventus alcune delle notti più celebri del ciclo bianconero dello scorso decennio. Impossibile giudicarlo al momento, ma Simone lo conosce bene: «A livello caratteriale è meno esuberante di Inzaghi. È più riservato e defilato ma il suo amore per il calcio non è da meno. Ha intelligenza e umiltà nonostante la sua carriera. Se ha accettato questo incarico vuol dire che si sente pronto. E che la società lo ha ritenuto tale».
«I cinesi cantavano per me, non ci credevo. Provavo vergogna per gli elogi alla Juventus»
Pado ha salutato la Juventus con una delle lettere più umili nella storia dello sport.
I vostri complimenti mi fanno provare sinceramente un po’ di vergogna perché penso di non meritarmeli e per questo vi sarò eternamente grato. Ringrazio i tifosi perché mi hanno apprezzato nonostante le mie qualità mediocri per il livello Juventus.
Parole «che mi sono uscite facilmente, dal cuore». Aveva lasciato Torino «e in tanti mi scrivevano, era partita una petizione su Instagram per salutarmi. Lo ripeto: è stata un’esperienza unica, mi sentivo un privilegiato perché avevo meno qualità rispetto agli altri e dovevo dimostrare il mio valore non solo in gara, ma ogni giorno. La Juve mi ha tolto e mi ha lasciato tantissimo, era l’occasione della vita».
Utilizziamo le parole di Massimiliano Allegri per descrivere Padoin alla Juventus: «Saluto un calciatore esemplare che ha sempre dato non tutto, di più».
C’è stato un altro momento che è rimasto nella sua mente. La squadra era in Cina per una tournée e CR7 spaccava il mondo al Real Madrid. Una volta scesi dall’aereo i tifosi orientali iniziarono a cantare il coro dello Stadium: «Che ce frega di Ronaldo, noi abbiamo Padoin». «Mi sorprese – racconta Simone – e ho capito quanto amore ci fosse per il calcio in quei luoghi».
«I cavalli, le brocche di frutta secca e le fughe dall’hotel: Vidal era un pazzo»
Quello era uno spogliatoio di campioni e personaggi. «Vidal era un pazzo totale. Su di lui ho gli aneddoti migliori. Quando andavamo in ritiro avevamo le guardie del corpo che ci controllavano. Non potevamo uscire e lui trovava sempre sotterfugi per eludere la sicurezza e andare in giro. Una volta si nascose in un armadio e poi per le scale pur di scappare», ricorda Padoin.
E poi i cavalli, quei cavalli amati da Allegri ma allo stesso tempo anche dal cileno. «Possiede una scuderia in patria. Noi andavamo a cena alle 8 in ritiro, Vidal arrivava sempre a filo e si metteva a tavola con il telefono per guardare le gare dei suoi cavalli. E noi facevamo gruppo intorno per seguirla con lui. Vincevano spesso».
Ci fu quella volta in cui Storari lo colpì con le brocche di frutta secca. «Marco sbroccava quando perdeva le partitelle. Quando rientrava nello spogliatoio esplodeva di rabbia, il nostro nutrizionista ci faceva trovare delle brocche piene di frutta secca da bere per idratarci e lui tutto incazzato una volta le prese e le tirò via. In fondo c’era proprio Arturo, davanti al proprio armadietto, e gli bagnò tutti i vestiti di frutta secca sciolta».
«Conte ci distrusse a Miami, il primo allenamento di Pogba assurdo»
Antonio Conte è l’allenatore che lo ha voluto a Torino. La Juventus con lui ha ripreso a vincere, cominciando da quel «primo incredibile Scudetto. Da allenatore il discorso che ci fece quando mancavano 4 gare fu decisivo, ci disse di crederci perché il Milan era in difficoltà, l’impatto a livello motivazionale fu veramente pauroso».
Un tecnico che ha fatto del temperamento una delle sue forze. «Capitava che volasse di tutto a fine primo tempo quando non era soddisfatto». E non mollava mai un centimetro: «Eravamo in tournée a Miami e ci aveva concesso la serata libera. Il giorno dopo saremmo ripartiti per l’Italia, così uscimmo e tornammo davvero tardi. Pensavamo che l’allenamento sarebbe stato tranquillo. E invece al mattino ci sfondò, non ebbe pietà. Lo ripeterò sempre: prima di incontrare Conte giocavo a pallone, dopo averlo incontrato ho giocato a calcio. Ero cambiato a livello di testa, anticipavo le decisioni e ogni movimento aveva un determinano senso. Non c’era istinto, anche un movimento a vuoto poteva dare benefici a un compagno».
Secondo Padoin la crescita di Bonucci, Chiellini e Marchisio dopo essere stati allenati da Conte è una delle riprove del suo ragionamento. «Chi ci sorprese fu invece Pogba. Il suo primo allenamento alla Juventus è stato indimenticabile. Aveva 19 anni, veniva da un altro mondo. Ci siamo guardati e abbiamo detto: ‘Ma chi è questo?’, mai visto niente di simile. Un fenomeno. Gli piace specchiarsi, a volte andava tenuto sul pezzo ma in tante gare di Champions League ci ha trascinati con prestazioni box to box».
«La finale di Champions League un’emozione unica»
Antonio Conte lasciò nel 2014. «Fu uno shock, ricordo che eravamo in ritiro e non eravamo in tantissimi perché c’era stato il Mondiale. Nessuno se lo aspettava. Arrivò Allegri e si notò la sua grande tranquillità. Fu intelligente a portare avanti le idee di Conte e piano piano inserire i suoi concetti. Iniziammo a giocare con vari moduli, cosa mai accaduta prima».
Una scelta che pagò, visto che la Juventus arrivò subito in finale di Champions League contro il Barcellona: «Allegri metteva sempre a proprio agio i giocatori, man mano che avanzavamo cresceva la consapevolezza di poter fare grandi cose».
Berlino è rimasta impressa: «Non facevamo mai la rifinitura, ma quel giorno eravamo obbligati. Fu bellissimo, si respirava un’aria unica. Durante la gara vedere da due metri di distanza le qualità di Neymar e Messi… facevano delle accelerazioni che dicevi ‘Questi vengono da un altro mondo’. Anche Iniesta fu tra quelli che mi colpì notevolmente».
«Le ciabatte di Tevez, la qualità di Coman e i silenzi di Mandzukic»
I fenomeni che si sono avvicendati in quegli anni nella rosa della Juventus sono molteplici. A partire da Carlos Tevez, «un trascinatore». Un acquisto che cambiò le gerarchie offensive: «Pressava gli avversari a ogni azione e li costringeva a lanciare pallonate. Ci facilitava e non poco. Ogni palla che gli arrivava la metteva già e, nonostante avesse baricentro basso, non cadeva mai nei contrasti». Un personaggio anche fuori dal calcio: «Arrivava in ciabatte a dicembre agli allenamenti. Senza neanche i calzini. Lui, Caceres, Osvaldo e Bentdner erano tra i più eccentrici, anche nel vestirsi».
Un altro ragazzo che lo ha colpito è stato Kingsley Coman. «Ha più scudetti che stagioni giocate», gli dico. E Simone sobbalza: «Davvero, incredibile». Anche la prima volta dell’attuale calciatore del Bayern fu spaventosa: «Non lo conoscevo, si presentò in ritiro e andava al triplo di noi. Faceva cose pazzesche, adesso è migliorato molto davanti alla porta. Anche prima, grazie al suo cambio di passo, ci arrivava spesso, ma non incideva. Ora sì».
A Torino per un attaccante che se n’è andato, un altro è tornato. Da Mario Mandzukic ad Alvaro Morata. «Mario parlava pochissimo, ma era simpatico. Quando apriva bocca ti massacrava, in senso buono. Ti provocava per farti dare il massimo, amava dare tanto in campo per il collettivo. Alvaro invece è il ragazzo che tutti i suoceri vorrebbero avere per la propria figlia. Abbiamo vissuto da vicini di casa per anni, con il giardino fianco a fianco: si interessa dei tuoi problemi, è il primo a dare una mano ai ragazzini della Primavera, è molto sensibile».
«Cagliari un paradiso, Scamacca come Ibra»
Nel 2016 l’avventura di Padoin alla Juventus finisce. Sceglie Cagliari per proseguire la propria carriera: trova un gruppo stupendo e un progetto in completa espansione. «Per un calciatore Cagliari e la Sardegna ti danno modo di vivere al top. Io ero lì con la famiglia e anche in inverno puoi fare le passeggiate al mare. Ci ho lasciato il cuore». Tutto, però, era iniziato a Bergamo nell’Atalanta, un progetto ancora lontano da quello impensabile – soltanto alcuni anni fa – che sta conquistando oggi l’Europa: «La grande capacità di gestione dei Percassi si era notata quando presero l’Atalanta in cui c’ero anche io. A Bergamo è amatissimo, ha dato tantissimi posti di lavoro alle persone. Dopo quello che hanno fatto con l’Atalanta sono un’istituzione. Papu non pensavo che potesse arrivare a questo livello, si vedeva che era fortissimo ma da tre anni è letteralmente incredibile. Un leader che si sbatte per la squadra. A Catania era più offensivo e scostante. Vivendo qui a Bergamo si percepisce l’entusiasmo, non ti nego che da due anni è in assoluto la squadra che guardo con più piacere».
Padoin vorrebbe diventare allenatore delle giovanili. E un giovane compagno che non è mai esploso ce l’ha: «Era in Primavera con me: Domenico Fumarolo, non ha mai sfondato». Lo scorso anno, invece, ad Ascoli ha giocato con Gianluca Scamacca, oggi in Serie A: «Non scherzo, è un piccolo Ibra. È ancora macchinoso ma nelle ripetute, quando voleva spingere al massimo, andava al doppio. Mi ricorda Zlatan, anche lui fisicamente mostruoso: Folletti, preparatore dello staff di Allegri con noi alla Juventus, mi disse che con Ibrahimovic al Milan non aveva mai visto niente di simile. Lo provocava e dava il 100% con livelli fisici assurdi». Chissà quale talento lancerà Padoin.