Quando si comincia a raccontare la storia di Paolo Maldini, è d’obbligo approcciare questa favola calcistica con il dovuto timore reverenziale, consapevoli del fatto di essere al cospetto di un totem, dell’eternità dipinta sopra un campo da calcio, con le scarpette e la fascia al braccio. Clava e fioretto, tenacia e leggerezza, forza e tecnica.
Si potrebbe partire dal suo primo giorno da professionista rossonero, il 20 gennaio 1985, a soli sedici anni. In quella fredda giornata di fine inverno, nel giorno della sua prima convocazione nel Milan di Liedholm, Paolo veste la casacca n.14. Parte dalla panchina, ma complice l’infortunio del compagno Battistini, viene buttato nella mischia. E da quella mischia non uscirà più.
Si potrebbe continuare con i numeri della sua carriera maestosa, da far rabbrividire, da far sembrare tutto il resto infinitamente più piccolo. Tra i principali record collezionati spiccano: le presenze complessive nel Milan (902), le presenze in Serie A (647), le stagioni disputate in Serie A (25, come Totti). Senza considerare il palmarès: 7 Scudetti, 5 Champions League, 5 Supercoppe europee, 2 Coppe Intercontinentali, 1 Mondiale per Club, 5 Supercoppe italiane, 1 Coppa Italia. Da far girare la testa.
Ma abbiamo voluto concludere con la storia della più incredibile sconfitta della leggendaria epopea di Paolo. La notte che gli avrebbe consentito di portare a casa l’ennesima Champions League e, chissà, il primo Pallone d’Oro della carriera. La notte che si apre con un suo gol, il gol più veloce della storia delle finali della Champions, 51,2 secondi. La notte del “primo tempo migliore mai disputato da componente di una squadra di calcio” (come ricorderà lo stesso capitano). La notte dell’impoderabile disfatta. La notte di Istanbul, il 25 maggio 2005.
“Fu una finale incredibile, durò 120 minuti e il Milan dominò per 110. Anche dopo il 3-3 abbiamo avuto occasioni controllando il gioco, eravamo più forti su tutto però il calcio è anche questo. Io e i miei compagni per mesi non abbiamo dormito. Il destino ci ha comunque ripagati.
La finale del 2007 è stata una rivincita perché loro non avevano rubato niente. Per quanto mi riguarda c’era invece l’idea che fosse la mia ultima occasione e anche per quella generazione di squadra, dato che il club aveva già cominciato a cambiare vendendo giocatori importanti. C’era già l’idea di mettere a posto i conti e di non fare più gli investimenti di una volta.
Atene fu l’occasione della vita. E il Milan quando c’è da vincere, quasi sempre lo fa“.
I grandi capitani non vincono tutte le partite. I grandi capitani perdono, ma il giorno dopo tornano a correre, inseguendo un meraviglioso, immortale sogno.