Sergio Pellissier, ex centravanti del Chievo, ha rilasciato una lunga intervista a 90min.
CHIEVO – «Diciamo che il Chievo era fatto prima di tutto di uomini e poi di giocatori. Era un gruppo di professionisti che tenevano moltissimo a quello che facevano. Ci tenevamo a non far brutta figura e volevamo onorare la maglia. Eravamo una famiglia in cui si stava talmente bene e quando ti senti a casa, riesci a dar di più di quello che magari daresti in un altro contesto. La forza del Chievo è stata quindi quella di avere sia giocatori che non erano conosciuti, sia calciatori che avevano bisogno di rilanciarsi. Tutti avevano la possibilità di essere protagonisti».
I MOTIVI DEL RITIRO – «Ho scelto di smettere perché mi sembrava giusto smettere in quel momento. Ho sempre pensato che avrei deciso io quando smettere e non quando qualcuno mi voleva far smettere a tutti i costi e per fortuna ci sono riuscito. È stata una questione di scelte. Il Chievo era arrivato ad un’altra retrocessione ed era un periodo di cambiamenti. Ero convinto che quella fosse la fine di un ciclo e si dovesse iniziare un nuovo percorso. Non mi sentivo di iniziarlo di nuovo da calciatore. L’avrei voluto iniziare da dirigente, direttore sportivo come ho fatto. Poi il calcio e il mondo del lavoro ti danno e ti tolgono, ma questo fa parte del gioco e quindi ho preso altre strade».
TRIPLETTA – «Non mi sembrava vero. Sinceramente al terzo gol non mi ricordavo di aver fatto gli altri 2. La cosa più bella era che ero riuscito a far pareggiare la mia squadra al 92’ e voleva dire quasi sicuramente riuscire a portare a casa un punto da Torino e non ci eravamo mai riusciti, quindi era una sensazione fantastica. Poi quando è finita mi sono reso conto che era riuscito a fare una tripletta. Sono sensazioni bellissime, sono emozioni perché poi ti alleni e sogni da piccolo quello e riuscirci, riuscire poi a far gol ad uno dei portieri più forti del mondo che non credo sia qualcosa che è accaduto così spesso è stato davvero bello. Un giorno indimenticabile per me».
EREDE – «Diciamo che le caratteristiche degli attaccanti di oggi sono diverse dalle mie. Forse mi rivedo in Immobile, che ama giocare sul filo del fuorigioco e a cui piace attaccare la profondità. Certo lui è molto più prolifico di me e questa è una caratteristica fondamentale per qualsiasi attaccante. Adesso o vediamo prime punte fisiche o squadre che non hanno neanche un attaccante e prediligono il falso nueve. Io sono uno vecchio stampo. A me piace il 4-4-2 con 2 punte o il 4-3-3 con 3 punte. A me piacciono i moduli con gli attaccanti in campo, perché chi fa gol devono essere gli attaccanti».
SECONDA VITA – «Mi piace il ruolo del direttore sportivo, infatti ho studiato per quello e ed è quello che mi piacerebbe continuare a fare in futuro. Anche in quell’ambito i tempi sono cambiati. Vediamo sempre più Direttori Generali operare nell’area sportiva comparendo davanti alle telecamere e presidenti che vogliono decidere in ambito tecnico. Così la figura del direttore sportivo perde la sua forza: per me deve essere il direttore sportivo a decidere se un giocatore vale o meno e se prenderlo o meno. Indubbiamente bisogna essere bravi, crescere e imparare. Io ho avuto la fortuna di avere un direttore sportivo bravissimo come Sartori quando giocavo, però quando ho iniziato a muovere i primi passi dopo aver smesso non ho trovato nessuno che mi insegnasse. Ho imparato più cosa non andava fatto e anche quello è un insegnamento importante. Mi auguro di continuare nel calcio. Se non dovesse essere così andrò comunque a vedere le partite, perché mi piace poter giudicare se un giocatore è valido oppure no e scommettere su quali giocatori potranno fare bene in futuro».
CALCIO ODIERNO – «A me manca il mio calcio, non questo moderno in cui si parte dal portiere, si deve passare per i difensori e in porta non si arriva mai. Così non mi diverto. Mi piace l’Atalanta perché arriva in porta con 3 passaggi. Quello è calcio, perché io voglio fare gol. Non mi interessa il possesso palla, perché non serve. E adesso si vede sempre meno. Per me che ero un attaccante, le occasioni erano tutto, giocare per non fare neanche un tiro a partita non ha senso».
LINEA VERDE – «Mi piace Kulusevski, mi piace Vignato che è stato con me al Chievo e ora è al Bologna. Deve crescere tanto, ma ha un tocco di palla straordinario e vede il gioco prima degli altri. Non credo che anche se si ha talento si debba giocare subito, altrimenti si rischiano di bruciare i giovani. Vanno fatti crescere e gli va data la possibilità di sbagliare senza pressione. Poi c’è Zaniolo che ha tanta qualità, però se un giovane ha subito tutte queste pressioni e tutte queste attenzioni, rischia di non avere più ambizioni ancor prima di iniziare e questo può essere un problema. Balotelli ne è stato l’esempio. Grandissime qualità, ma le troppe pressioni non gli hanno permesso di fare bene come avrebbe potuto. O si fa una grandissima carriera come Totti, oppure si finisce per pagare tutte le troppe attenzioni».