È il 9 luglio 2006 quando l’Italia si laurea campione del mondo ai danni della Francia. Forse non serve ricordare la data, e neanche l’avversario sconfitto. Oppure per la portata dell’evento, il quarto mondiale degli azzurri, vanno sottolineate persino le emozioni del pre e del post partita. Oggi, a quattordici anni di distanza, ricorre l’anniversario di quel trionfo tutto italiano.
Il cammino
La fatica di una maratona all’interno di un torneo fatto da tante staffette. Primi nel girone davanti a Ghana, Repubblica Ceca e Stati Uniti; l’Australia battuta agli ottavi, l’Ucraina sconfitta ai quarti e la Germania superata in semifinale. E poi… poi lo sappiamo tutti: Materazzi causa il rigore che Zidane trasforma (al 7′) e poco prima del ventesimo pareggia di testa il punteggio sul tabellone luminoso. La partita procede a tentativi di vantaggio, fino all’espulsione di Zidane (presente sempre Materazzi, nel male e nel bene) e ai rigori. Lì l’Italia è infallibile: segnano Pirlo – eletto poi come Man of the Match -, Materazzi, De Rossi e Del Piero. Per la Francia vanno a segno Wiltord, Abidal e Sagnol, mentre la traversa separa Trezeguet dall’esultare. È poi Grosso a chiudere i conti: 5-3. Dopo la morte e le tasse, nel nuovo millennio – e da quattordici anni – c’è un’altra certezza: il 9 luglio l’anniversario dell’Italia campione del mondo.
Antidoping
C’è qualcosa di più brutto di perdere un mondiale? Probabilmente vincerlo e non poter festeggiare. Almeno, non subito. Dopo la partita dell’Olympiastadion, gli addetti all’antidoping sorteggiarono quattro calciatori, due per squadra: De Rossi e Cannavaro per l’Italia, Thuram e Ribery per la Francia. Due italiani e due francesi rinchiusi in uno stanzino con la tensione di una finale ancora sulla pelle. Ad un certo punto, dalla porta entra Demetrio Albertini con la Coppa del Mondo in mano. Thuram non resta in silenzio – “Merde! Ci vuole più rispetto, non sbatteteci la Coppa in faccia”, pronuncia nei confronti dei tre azzurri. Ma Cannavaro non è un tipo da subire senza controbattere – come raccontato da De Rossi nel libro La nostra bambina:
CANNAVARO – «Thuram te lo ricordi l’Europeo del 2000? Dai, se ti sforzi te lo ricordi. Ci avete battuti in finale e tu, alla fine, neanche mi hai salutato. Quindi stai zitto!».
Scommessa
Quell’Italia era forte in campo, certo. Ma la vera forza del gruppo nasceva dalle relazioni oltre i 90′. Nel ritiro tedesco, lungo oltre un mese, quanti aneddoti hanno accompagnato gli azzurri fino al rientro in patria avvenuto il 10 luglio. Come quella volta in cui Peruzzi scommise con Totti di poter mangiare una pizza intera in un solo boccone. “Non ci riesci, è impossibile”, lo aveva provocato l’allora capitano della Roma. Detto fatto: la margherita venne piegata in quattro e inghiottita in un sol boccone.
La telefonata profetica
Questione di fare gruppo, ma anche di avere fede. La notte prima della finale Mauro Camoranesi entrò nella camera di Ciro Ferrara. Fece solo un passo: Ciro era al telefono, non voleva disturbarlo. “Mauro, resta. Ho qui qualcuno che vuole parlare con te”, gli disse. Era Maradona. Proprio lui, l’idolo del terzino bianconero. Camoranesi prese il telefono, chiese di non essere preso in giro – “Ma sei davvero Maradona?” – e, prima di salutarlo, si lasciò pronosticare il futuro: “Stai tranquillo e gioca la partita che domani diventi campione del mondo”.