Il «Tredicesimo guerriero» parla di navi da battaglia, di guerra, di leggende e forse pure di Stefan Radu, anche se bisogna ragionare un po’. Visto il film? In sintesi: racconta di un gruppo di normanni che vengono spediti a Nord per aiutare un regno. Sono tutti guerrieri esperti, alti, biondi, combattenti, gente che maneggia la spada da quand’è nata. In mezzo a loro, tramite un’indovina che interroga le ossa, viene scelto anche un cortigiano arabo inabile all’uso delle armi, colto, istruito, capitato lì quasi per caso e lontano anni luce dall’arte della guerra. Si chiama Ahmed ibn Fahdlan e diventa il tredicesimo guerriero, appunto, interpretato da Antonio Banderas. Uno senza talento naturale per ciò che è chiamato a fare, ma che attraverso l’impegno, la furbizia e il lavoro, diventa indispensabile e si fa perfino voler bene.
Radu alla Lazio: una storia d’amore
Stefan Radu l’ha fatto per 15 anni e continuerà a farlo per un’altra stagione, da ultima bandiera della Serie A. Con l’addio di Chiellini alla Juve e l’addio di Magnanelli a Sassuolo, il «romeno romano» sarà il calciatore con più presenze nello stesso club in campionato, recordman di gare giocate con la Lazio (424) e simbolo della gente, il tutto senza aver segnato i gol di Immobile o aver messo il pallone sui piedi degli altri più volte a partita, come Luis Alberto o Milinkovic. In fondo la bandiera è anche questo, magari soprattutto questo, diventare icona senza un talento evidente. Di sicuro è più difficile se non rubi l’occhio o se non sei una star. Radu c’è stato sempre e ha visto decine di Lazio: l’ultimo raggio di sole di Delio Rossi, l’illusione di Ballardini, la squadra bella e sfortunata di Reja fuori dalla Champions per due anni di fila. Ha visto le stelle con Pioli vittorioso a Napoli all’ultima giornata, la partita più “da Lazio” della storia recente, salvo poi conoscere l’inferno la stagione successiva, un anno dimenticabile che ha dato inizio al nuovo ciclo.
Il guerriero che c’è sempre stato
Radu ha fatto parte della Lazio senza mai diventare attore protagonista. A lui l’Oscar non è mai interessato. Qualche anno fa gli avevano offerto la fascia di capitano, ma disse di no. «Non me la sentivo». A Formello lo chiamano il “boss”, il capo, perché ormai è così di casa che non puoi farne a meno. Amico stretto di Lulic, scudiero di Inzaghi, ha vinto tre Supercoppe e tre Coppe Italia, compresa quella del 26 maggio in finale con la Roma, ma alla voce «star della partita», «man of the match», nessuno tirerà mai fuori il suo nome, anche se c’è stato sempre. Guerriero non solo per il film che lo fotografa, un uomo comune chiamato a imparare come si entra nell’impresa, ad affilare la spada, a costruire un fossato, a duellare contro guerrieri più forti, più alti, uscendone alla grande. Radu è la rivincita del calciatore medio che sfonda il petto e ti entra nel cuore, perché in 15 anni di Lazio ne sono passati tanti, campioni e bidoni, e Stefan li ha visti tutti.
Cornice da capolavoro
Radu ha fatto parte del paesaggio. Se fosse un quadro non sarebbe la tela bianca che diventa capolavoro a seconda della mano, bensì la cornice. Pensateci: chi è stato a Louvre ricorda la Gioconda, non chi la sorregge, ma senza quel quadretto non sarebbe la stessa cosa. Come se le mancasse un pezzettino per essere completa. Un 10%, non di più, ma tanto basta per fare diventare la tela sguarnita di colori un piccolo capolavoro. Il prossimo anno, forse, sarà l’ultimo di Radu a Roma, la città in cui sono nati i suoi figli e dov’è diventato uomo, padre, bandiera. Arrivato a gennaio 2008 come centrale, un ventiduenne di Bucarest che non conosceva l’italiano, saluterà come il calciatore con più presenze della storia.
«Non posso tradire la Lazio»
La prima partita ufficiale con la Lazio l’ha giocata quel 30 gennaio contro la Fiorentina, gara di ritorno di Coppa Italia vinta 2-1. Nessun cronista gli regalò la sufficienza, colpa di una palla svirgolata in malo modo e qualche incertezza nel marcare Vieri. Come se in quel campo, al freddo, fossero dieci più uno. L’undicesimo guerriero, stavolta. Tempo e applicazione gli hanno regalato la stima della gente. Radu si è riscoperto terzino dopo una prima parte di vita da centrale, salvo poi tornare sui suoi passi come ‘braccetto’ di una difesa a tre. Inzaghi, l’estate scorsa, l’ha chiamato all’Inter nonostante i 35 anni e una vita rodata. «Vieni a darmi una mano?». «Scusa, non posso tradire la Lazio». E una cornice così, anche se fa da contorno alla Gioconda o alle Ninfee di Monet che tutti guardano, è destinata a non cambiare mai.