Andrea Ranocchia è uno dei calciatori che, per umiltà e carattere, viene maggiormente rispettato dai tifosi. Il suo rendimento, tra gli inizi al Bari e lo slancio all’Inter dopo il Genoa, lo ha sempre mantenuto a un buon livello, come nella parentesi all’Hull City. Il calciatore, alcuni mesi fa, si è raccontato in un’intervista sul canale YouTube di Marco Montemagno, ripercorrendo i primi momenti in nerazzurro, dove ormai è amatissimo.
L’inizio all’Inter è avvenuto in una squadra da sogno: «Èstato bellissimo. Era la squadra del Triplete fatto nel 2010. Quindi non c’era più Mourinho, era appena arrivato Leonardo, e c’erano questi campioni qui che avevano alzato tutto quello che c’era da vincere e mi sono trovato lì. All’inizio dici ‘e adesso la cosa è seria’». Un approccio che ti cambia le prospettive: «Esperienza incredibile, come andare a giocare con Federer, LeBron perché è la squadra più forte al mondo, Con le varie personalità e culture, la loro disponibilità nei miei confronti è stata eccezionale, ognuno ha le sue credenze e modi di fare derivati da come sono cresciuti. Con me sono stati tutti bravissimi. Mi hanno accolto benissimo e lavorare con dei fuoriclasse così ti fa crescere in tutto. La cosa che ho notato di più è questo agonismo veramente assurdo. le partitelle tra noi erano una guerra, chi perdeva moriva. Non accettavano il fallimento e mi è balzata agli occhi questa cosa qui: è la grande prerogativa degli atleti».
Una formazione di campioni che avevano da poco scritto la storia del Club, altri che invece arrivavano con un grande background alle spalle. Ma non è stato facile, perché poi sono arrivati i problemi durante la ricostruzione. E Ranocchia apre il cuore e la mente, raccontando eventi, sensazioni, momenti negativi e la ripartenza: «Ho avuto un periodo molto complicato quando ero al’Inter, un periodo in cui la squadra non andava bene, ero capitano dell’Inter, ho avuto un momento complicato in cui la reazione dell’ambiente esterno per me era come andare al patibolo, ti venivano contro, potevo far qualsiasi cosa, mi ero preso un certo tipo di etichetta che ci ho messo molti anni a ripulirla. Piano piano l’abbiamo ripulita, però è stato un momento molto complicato. Ed in quel momento lì non ero pronto, preparato ad estraniarmi dal mondo esterno, il mondo dei social, la vita normale, lo stadio e la partita. Solo in quel momento lì non sono stato preparato a questo. Quando superi determinati tipi di prove sei allenato e pronto, adesso è come se ti si forma una cicatrice più dura di com’era magari la pelle prima.La parte più difficile da gestire? Te stesso. La parte più difficile da gestire è te stesso, non quello che sta intorno. Perché quello che è intorno fa quello che vuole, dall’avversario al tifoso, c’è libero arbitrio. La parte più complicata è gestire te stesso, perché se fai entrare dentro di te i pensieri esterni, dai modo di farli entrare in te e di dare una parte di te stesso, perdi tutto, non ne esci più. La parte più difficile quindi è essere pronto all’impatto col mondo esterno. Io ero arrivato ad un momento che mi dicevo: ‘Cosa sta succedendo? Possibile che non so più fare il calciatore e non riesco più a fare un passaggio?’ Era tutto perché l’esterno mi era entrato dentro e facevo quello che volevano, non avevo più il controllo di me. Poi ho lavorato, ci ho messo anni, sono andato in Inghilterra e da lì mi sono ricentrato, come se fossi tornato nel mio corpo. Non si può cambiare in un giorno, è impossibile. Quando sei martellato per anni tutti i giorni credi di essere scemo, quindi mi sono messo un piano indietro, ho iniziato un percorso con una persona che mi ha dato una mano e poi ho detto ok lavoriamo giorno per giorno e ricostruiamo. Come se crolla una casa e rimetti mattone per mattone, sicuramente li rimetti meglio di prima. Alla fine ricostruisci una casa più bella che alla fine è ciò che ho oggi. Il mio punto di sblocco è stato l’Inghilterra dove ho ritrovato quello che non avevo più. Ho fatto un bel lavoro, sono soddisfatto».