Con il cambio di proprietà, il ritorno di Francesco Totti alla Roma potrebbe non essere più un’utopia come sembrava fino a pochi mesi fa. L’ex capitano giallorosso, ora agente sportivo, si è raccontato in una lunga intervista a Repubblica.
NUOVO RUOLO – «È molto divertente il momento in cui i ragazzi entrano nella sala riunioni e trovano me. Si aspettano di parlare con un procuratore, invece ci sono io e sul momento restano a bocca aperta. Devo dire che il mio appeal è ancora discreto, sui giovani e sui genitori».
FRIEDKIN – «Quella con la Roma è una storia di sfumature. Se mi chiedete quando incontrerò la famiglia Friedkin rispondo: quando mi inviteranno a prendere un caffè, e sinceramente penso che succederà. Ma al momento non c’è stato alcun contatto. Dan Friedkin ha capito in fretta la cosa fondamentale: a Roma la proprietà dev’essere fisicamente presente e l’annuncio che il figlio Ryan verrà a vivere qui va nella giusta direzione. Pallotta ha commesso degli errori perché decideva in base a notizie riportate. Il proprietario deve viverle in diretta».
RITORNO ALLA ROMA – «Ho trovato un’altra cosa che mi appassiona. Messa in chiaro la premessa, è naturale pensare che prima o poi io e la Roma ci ritroveremo. Ma i tempi non li detto io, e soprattutto non aspetto che succeda seduto a far niente sul divano di casa. Io fuori Trigoria? Al mattino porto Cristian all’allenamento ma non entro, non mi va. Se la sessione è lunga torno a casa, se invece è breve lo aspetto sul retro, nel parcheggio all’ombra, sbrigo un po’ di telefonate, sono sempre in arretrato. Ma dopo qualche minuto arrivano Vito Scala, i magazzinieri, tutto il personale di Trigoria che ha vissuto con me per 25 anni, gente che mi vuol bene. Hanno visto Cristian, sanno che sono lì fuori. Prendiamo un caffè, si chiacchiera, si sorride».
AREA TECNICA – «Deve spettare a un giocatore. Faccio un esempio e non è il solito Bayern, che pure ha appena vinto la Champions con Rummenigge, Hoeness e Kahn in prima fila. Ditemi quanto è forte Theo Hernandez. Tanto, vero? Beh, l’ha scelto Paolo Maldini, che di terzini sinistri, e non solo, evidentemente se ne intende».
ZANIOLO – «Può diventare un grandissimo. È il talento più cristallino della nuova generazione, deve maturare come persona e in campo ma è inutile farla troppo lunga, succede a tutti i ventenni. Il consiglio migliore che gli posso dare è quello di legarsi a Lorenzo Pellegrini, perché è la persona che è e perché da romano sa gestire bene privilegi e rischi del giovane campione in una città così differente dalle altre».
CAMPIONI IN PANCHINA – «Quando parla un allenatore che è stato un campione, lo spogliatoio ascolta perché lo rispetta. Naturalmente deve esserci una capacità tecnica, se il campione è un bluff viene scoperto e finisce tutto. Però il rispetto per il tuo passato ti garantisce un po’ di tempo in più, e Gattuso, per esempio, l’ha sfruttato benissimo. Pirlo è una persona d’oro, spero sinceramente che ce la faccia e devo dire che la Juve difficilmente sbaglia una scelta. Ma non mi aspettavo un passo così deciso, non è normale che un debuttante riceva un incarico gravato da simili aspettative. Andrea dovrà essere Pirlo, vale a dire un fuoriclasse, anche in panchina».
DE ROSSI – «Sento spesso Daniele, è carico come una sveglia per allenare, per me sarebbe prontissimo e trovavo adeguata l’idea Fiorentina. La Roma per ora lasciamola stare, Fonseca ha fatto una buona prima stagione, ha perso qualche punto dopo la ripresa ma Atalanta e Lazio erano comunque irraggiungibili».
CONTE – «Pensavo di essere riuscito a portarlo alla Roma. Parlai con Antonio per dieci giorni in modo sempre più dettagliato, voleva sapere tutto, giocatori da cedere e giocatori da prendere, clima interno allo spogliatoio, ricordo che pretendeva soltanto tre figure a contatto con la squadra, gli altri tutti lontani, e l’avremmo accontentato. Ci rimasi male, quando alla fine scelse l’Inter».
TIFOSI – «Mi consolavo pensando che una volta chiusa la carriera mi sarei almeno riappropriato di una vita. Invece il legame con la gente è diventato ancora più stretto, e aumenta, aumenta ogni giorno. E siccome dopo il ritiro qualche momento amaro l’ho passato, e non ero abituato, mi tengo stretto l’affetto popolare, altro che respirare un po’. I giocatori forti da Roma sono passati, ma se ne sono pure andati. Non tutti, però. Io e Daniele siamo rimasti».