Sono uscito dalla polvere

di Sergio Rico González

Avevo appena vinto la Ligue 1.

 

Ricordo di essere salito su un volo che dalla Francia mi ha portato in Spagna.

 

Avevamo un giorno libero prima dell’ultima partita contro il Clermont, con cui avremmo chiuso la stagione.

Quindi sono arrivato in Andalusia per andare al El Rocio insieme alla mia famiglia.

Un luogo immerso nella natura, pieno di animali e vegetazione, dove migliaia di persone si ritrovano per fare il pellegrinaggio. A piedi, a cavallo, sui carri.

 

Da quel momento, non ricordo più niente.

 

Era il 28 maggio 2023. Mi sono risvegliato dal coma il 19 luglio.

 

Il mio viaggio per El Rocio è l’ultima cosa che ho in mente. Dopo: il vuoto.

 

Mi hanno raccontato che è stata tutta una questione di secondi.

 

Ci stavamo dirigendo verso la Romeria del Rocio, la celebrazione, quando sono stato investito da un cavallo imbizzarrito da un carro trainato da alcuni muli. Mi ha travolto.

 

Questione di attimi: ero per terra, ero nella polvere.

 

Ma di quello, io, non ricordo niente.

Credo che i miracoli siano stati due. Innanzitutto, essere ancora vivo. Ed esserlo senza conseguenze, senza impedimenti. Sto bene al 100% e sono potuto tornare a giocare a calcio senza problemi.

 

È stato un lungo viaggio, perché per 10 mesi sono stato lontano dal campo. Sono stato tutta l’estate in ospedale dopo il coma. Avevo perso 18 chili, la massa muscolare era scomparsa e non avevo forza. Provavo molta fatica anche soltanto nel fare una rampa di scale.

 

Inizialmente è stata tosta. Mi ripetevano che il muscolo ha memoria, e che sarei tornato. Ma è stata molto dura, specialmente quando ho cominciato la riabilitazione: ho iniziato dalla vita quotidiana, in casa, e per 24 ore al giorno ho avuto affianco a me dei professionisti che mi ripetevano essere «solo questione di lavoro e di tempo».

 

 

Ho recuperato al 100% e voglio tornare a giocare. Mi sto allenando per questo. Non ho mai smesso di sentirmi un calciatore.

 

Anzi, mi hanno raccontato i preparatori del PSG che sono rimasti sorpresi quando in una delle ultime settimane della scorsa stagione, abbiamo fatto un test neurologico, che si chiama Neurotracker, e i miei risultati erano addirittura migliori di quelli precedenti all’incidente!

 

È stato un processo lento, ma senza pause. Ogni giorno mi sentivo sempre meglio e aumentavo i carichi. Ma dovevo stare attento a non incorrere in lesioni muscolari dovute alla lunga inattività.

 

Non dimenticherò mai la prima volta in cui, al campo di allenamento del PSG, ho indossato nuovamente i guanti. Era la sensazione che ero tornato. Non ho mai smesso di sentirmi dentro questo sport. Anche quando ero in ospedale, passato lo spavento, il mio pensiero era quello di tornare in campo. Mi chiedevo se ce l’avrei fatta, ma tutti mi confermavano che ce l’avrei fatta al 100%.

 

 

In tanti mi hanno chiesto: «Ma cosa ricordi del coma?!». La risposta è: «Niente».

 

Nulla.

 

Il grande dolore lo hanno provato i miei familiari. D’altronde io non ero cosciente. Loro invece hanno vissuto tutto: i primi momenti, i giorni in cui sono stato in coma. Li ho ripagati con tanti progressi in poco tempo. Ho visto i loro sorrisi quando miglioravo a vista d’occhio.

 

Quando mi sono risvegliato, sono stato travolto da un’ondata di affetto. Da parte di tutto il mondo eh! Dai miei compagni a tutto il calcio. Non smetterò mai di ringraziare chi ha perso anche soltanto un minuto per mandarmi un augurio di guarigione. La risposta che ho avuto dalle persone dentro al calcio è stata spettacolare.

 

 

Nello spogliatoio del PSG ho potuto chiamare “amici” tanti ragazzi. Sicuramente uno di questi è Donnarumma. Le nostre fidanzate hanno legato molto. E lui è un professionista che lavora ogni giorno per diventare più forte, ma soprattutto è una persona molto educata e rispettosa. Ho avuto la fortuna di allenarmi con lui, anche in quest’ultimo periodo dopo il mio rientro in campo. Anche Verratti… sa quanto gli voglio bene. Una persona con un cuore immenso. Non dimenticherò neanche Mbappé, basta guardare il suo sorriso nelle foto in cui siamo insieme per capire il rapporto che ci lega. Quando è scomparso mio padre, tre anni fa, lui mi è stato molto vicino. È qualcosa per cui tengo a lui.

 

Perché a dire il vero, c’è una cosa che ricordo del coma.

 

Una sola.

Un sogno.

 

Estaba mi padre: caminaba por una calle que tenía dos direcciones opuestas. Él iba en una dirección, yo en el otra. Lo estaba llamando: «¡Papá, papá!». No me escuchaba. No respondía. Significaba que mi hora de morir aún no había llegado. Que no debía alcanzarlo.

 

C’era mio padre: camminava lungo una strada che aveva due direzioni opposte. Lui andava in un verso, io nell’altro. Lo chiamavo: «Papà, papà!». Non mi sentiva. Non rispondeva. Significava che non era ancora giunta la mia ora per morire. Che non lo dovevo raggiungere.

 

Per questo mi ignorava.

 

La conclusione di questa storia personale è una: aspettiamo un figlio. Quando sarà grande, gli racconterò tutto questo con naturalezza. Alla fine è stato un incidente come un altro. Sono state la forza di sacrificio e di andare avanti che mi hanno fatto recuperare la vita.

 

Adesso voglio solo tornare in campo. Magari in Italia. Me encanta. Ho avuto tanti allenatori e compagni italiani. Mi hanno chiamato varie squadre in passato: il Napoli è stata la prima, poi la Lazio. Non molto tempo fa anche il Milan. E poi c’è grande calore nel vostro calcio: mi ricorda molto quello che ho vissuto a Siviglia.


CREDITS:
autore: Giacomo Brunetti; testo di: Sergio Rico González e Giacomo Brunetti; immagine di copertina: Shutterstock; immagini: Shutterstock, Imago, Image Photo Agency; pr: YouFirst.