Simone Pafundi adesso vuole la Serie A: «Ho sofferto le pressioni. L’esordio a 16 anni in Nazionale…»

by Giacomo Brunetti

Simone Pafundi sa come fare la differenza. Anche quando la sua squadra perde, com’è accaduto alla Nazionale u-20 contro l’Inghilterra: assist e migliore dei suoi, nonostante la sconfitta. «La notizia del Mondiale u-20 rimandato ci aveva buttato giù. Ne abbiamo parlato molto con il mister, è un peccato che sia slittato di un anno», ma adesso è molto concentrato sul suo presente. A dicembre il suo prestito al Losanna terminerà e lui tornerà all’Udinese: «Voglio tornare in Serie A: adesso mi sento pronto».

Il suo nome, nonostante abbia 18 anni, è sulla bocca di tutti da almeno due anni. Da quando il ct Roberto Mancini lo chiamò dapprima per uno stage con la Nazionale, e successivamente lo convocò con i grandi, facendolo anche esordire contro l’Albania, diventando il più giovane di sempre a farlo (16 anni, 8 mesi, 2 giorni). Successivamente le grandi aspettative, le pressioni, ma anche un anno senza giocare e la scelta di emigrare in Svizzera: «Tutti parlavano di me. Per due mesi sono stato il giovane top, poi dopo ero il più scarso. Sono arrivato a chiedermi: ‘Chi sono veramente? Valgo davvero?’. Poi scendevo in campo e tutti i dubbi mi passavano. Ho imparato, e voglio dirlo agli altri giovani, a convivere con l’essere un giorno considerato al top, e l’altro giorno invece essere sul fondo. Ho sofferto perché dopo l’esordio in Nazionale, per le scelte di alcuni allenatori non ho toccato il campo per un anno. Non potevo dimostrare il mio valore per le scelte di qualcun altro, mentre tutti parlavano di me. Il tempo dal momento dell’esordio mi è un po’ volato. Ho scelto di andare al Losanna, in Svizzera, per scappare dai radar. Avevo bisogno di allontanarmi dalle attenzioni. Ora sto meglio. Sono pronto: a gennaio voglio tornare in Serie A».

Un obiettivo chiaro, che Pafundi si è prefissato nella sua esperienza a Losanna. «Dopo questa esperienza in Svizzera sono pronto per la A, dove ci sono tanti giovani adesso. Qui ho imparato soprattutto la fase difensiva: ci sono tanti capovolgimento di fronte», ci ha raccontato, analizzando a fondo: «Guardando i numeri uno può dire: ‘Ma Pafundi non ha fatto bene in Svizzera’. Invece, guardando le partite, direi di no. E poi sono cresciuto fisicamente e in fiducia. L’esperienza in u-20 mi sta confermando che sto bene». A cambiargli la vita è stata proprio quella convocazione di Mancini, «i 10 giorni più belli della mia vita».

Ricorda bene i momenti della chiamata con i grandi, e del successivo esordio contro l’Albania. «Mancini mi aveva già convocato per uno stage dopo il mio esordio in Nazionale. Ma da lì a essere chiamato davvero con i grandi…», e invece è accaduto davvero. «Stavo andando in pullman a Napoli quando mi ha chiamato Corradi, che era il mio ct nelle Under. Mi dice: ‘Devi dirmi qualcosa?’. Io gli rispondo: ‘No, mister, perché?’. Lui mi fa: ‘Un uccellino mi ha detto che…’. Sono impazzito: ‘Mister ma scherzi??’». Non era uno scherzo, infatti «sono arrivato in Nazionale che ero molto teso, con mille pressioni addosso. Ma sono stati i 10 giorni più belli della mia vita. Gnonto, Scalvini e Miretti mi hanno aiutato, anche i più storici. Non me lo aspettavo, chiaramente. Poi Mancini mi ha fatto esordire contro l’Albania. Incredibile». Lì la sua vita è cambiata per sempre: «Le pressioni che ne sono derivate sono state tantissime. Un po’ le ho sofferte, ma ora sono pronto».

LEGGI ANCHE – Cronache e AIC insieme per una raccolta fondi per il Sudafrica