«Quando mi sono trovato il pallone tra i piedi, in area, non ci ho capito più niente», Stefano Arata quel pallone lo ha successivamente scaraventato in rete. È un gol fondamentale, ma occorre riavvolgere il nastro. Lui è il capitano del Genoa u-18, che dopo un inizio di stagione tra alti e bassi, si è guadagnato l’accesso ai Play-Off Scudetto grazie al quarto posto nel girone. A pochi giorni dalla fase finale, però, sua madre Elisa è venuta a mancare.
Nessuno si aspettava di arrivare in semifinale. Né lui, né i suoi compagni. «La partita contro la Lazio ha assunto un significato particolare, dopo quello che era successo». Stefano ce lo racconta con un’emozionata lucidità. «Siamo arrivati alle Final Four, in semifinale contro l’Inter». E qui arriviamo a quel gol. Perché la partita sembra sancire la fine della cavalcata del Genoa: il primo tempo della semifinale va ai nerazzurri, in vantaggio per 3-1. Nel secondo tempo i liguri la ribaltano, si arriva sul 4-4. In quel momento, il Genoa è eliminato perché da regolamento con il pareggio passa la miglior qualificata nella regular season.
Serve per forza un’altra rete. Ultimo minuto, mischia in area e il pallone arriva a Stefano, difensore che segna un 5-4 clamoroso. Il Genoa è in finale.
«Una partita epica. Un momento significativo per tutti. Il gol decisivo per andare in finale segnato per i compagni, che sono stati come una famiglia. Il giorno del funerale me li sono trovati praticamente tutti lì, compreso lo staff. È merito loro se ho affrontato questo dolore in modo più maturo». La sua storia fa scendere lacrime.
Si arriva alla finale. Davanti al Genoa c’è la Roma. Stefano è il capitano della squadra, Venturino e Romano segnano i gol che decidono la gara. Il Genoa è campione d’Italia, lui alza il trofeo: «Da capitano rappresento i miei compagni, che sono la mia seconda famiglia. Sogno per gradi. Il primo step che voglio fare è esordire in Primavera. Mi piacerebbe diventare un calciatore. Chiellini per me è un punto di riferimento. Dentro al campo è un leone, fuori è un buono. È pure laureato. Mi piacerebbe diventare come lui». È difficile trovare un finale a questa storia. Stefano Arata di certo sa di aver reso orgoglioso proprio tutti.