Il 2 settembre del 2005 Urbano Cairo diventava il presidente del Torino, prendendolo alle soglie del fallimento. Oggi, prima della sedicesima stagione alla guida dei granata, ha voluto ripercorrere quei giorni in un’intervista alla Gazzetta dello Sport.
ACQUISTO – «La prima immagine è quando in fase di negoziazione nella stanza dell’assessore mi sono affacciato alla finestra e ho sentito una ovazione di centinaia di tifosi che mi invitavano a prendere, ma sarebbe meglio dire salvare, il Torino. La seconda quando alle tre del mattino, dopo una delle tante giornate forsennate prima dell’acquisizione, mi sono fermato su una panchina davanti a Palazzo di città con dei tifosi a parlare della squadra. La terza quando il portavoce del Sindaco ha annunciato che sarei stato il prossimo presidente del Torino e c’è stato un boato e un’ovazione che ancora oggi mi fa venire i brividi».
BILANCIO – «Ci sono state 3 stagioni negative. Quella del 2008-2009 quando retrocedemmo, quella del 2010-11 quando non andammo nemmeno ai playoff, e l’ultima stagione in cui speravo pagasse il non aver toccato la squadra convinto che con un paio di innesti sarebbe salita ancora più su in classifica. Ma parliamo di tre stagioni negative su quindici. Ci sono state anche 5 stagioni molto positive: le due promozioni, le due stagioni al settimo posto con accesso all’Europa League, quella in cui abbiamo raggiunto gli ottavi di finale».
PESO DELLA STORIA – «Non lo definirei un peso. È piuttosto una responsabilità e uno stimolo a essere degni di quel passato, onorandolo con il ricordo e col massimo impegno. Paragonarsi al Grande Torino degli Anni 40 o pensare di ripeterne le gesta sarebbe folle. Quella è una storia meravigliosa e irripetibile, oltre che tragica nella sua fine. Oggi la forbice economica di introiti tra club, a partire dalla suddivisione dei diritti tv, è tale che diventa quasi impossibile per club come il nostro competere per vincere uno scudetto. Una cosa solo posso promettere, il continuo tentativo di crescere e migliorare».
ORGANIZZAZIONE – «Quando sono arrivato nel 2005 non c’erano neanche i palloni. Non c’era niente. Oggi il Torino ha le sue strutture. Mi prendo una parte di merito se siamo tornati al Filadelfia, avendo investito nella sua rinascita anche se non è di proprietà del Torino ma della Fondazione. Speravo potessimo iniziare prima con i lavori del Robaldo, ma ormai ci siamo e sarà la casa del nostro settore giovanile. La società è cresciuta. È sana. Quando sono arrivato i tifosi mi dicevano: magari potessimo stare stabilmente nella parte sinistra della classifica. Per diversi anni lo abbiamo fatto. Non mi vanto per questo, è dove il Toro deve stare. Il club per me non è mai stato un motivo di interesse o un biglietto da visita per altri affari. Quello che ho fatto per il Toro l’ho fatto per passione, per convinzione, per tradizione».
CESSIONE – «Sono impegnato a ripartire e a seguire un nuovo ciclo che spero con Giampaolo e Vagnati ci regali soddisfazioni. Ma voglio chiarire ai tifosi che se in futuro dovesse presentarsi qualcuno con mezzi superiori ai miei e un progetto serio, sono pronto ad ascoltarlo».
MERCATO – «Il colpo di cui vado più orgoglioso è Belotti, per quello che ha dato non solo come rendimento e gol ma come atteggiamento, generosità, valori. Esempio per i compagni, idolo per i tifosi, ispirazione per i giovani del vivaio. Affare più vantaggioso? Maksimovic, preso a basso costo e rivenduto a una cifra molto importante al Napoli. Ma non dimentico neanche Zappacosta e Darmian. Non avrei voluto cedere Immobile, andato via dopo un solo campionato al Borussia. L’avrei tenuto ma non mi è stato possibile anche perché era nostro solo al 50 per cento e lui voleva essere ceduto».
ALLENATORI– «La svolta c’è stata con Ventura, con cui ho instaurato un rapporto personale e professionale molto forte e intenso. Mi ha aiutato a capire meglio il calcio. Mi è dispiaciuto esonerareMihajlovic. Avevamo un bel rapporto e apprezzavo il suo carattere, la sua schiettezza e il suo coraggio. Il suo primo Torino spregiudicato entusiasmò spesso i tifosi. Il secondo anno purtroppo qualcosa si è rotto, la squadra non rispondeva più e ho dovuto fare una scelta dolorosa».
GIAMPAOLO – «Ho sensazioni molto positive, ma diamogli tempo. Certamente ogni volta che ci parlo mi dice qualcosa che mi sorprende, con una chiave di lettura originale e interessante che dimostra come sia davvero un grande conoscitore di calcio».