«Non vedo come si possa riuscire a eliminare la violenza dagli stadi». Dopo le incredibili scene degli incidenti di domenica sera a Marsiglia (in cui il pullman del Lione è stato preso a sassate da un gruppo di tifosi dell’OM, con Fabio Grosso colpito al volto da una bottiglia di vetro), abbiamo deciso di fare il punto con chi il mondo del tifo nel calcio lo conosce a memoria. Abbiamo parlato con Sébastien Louis, dottore in Storia contemporanea e esperto del tifo radicale in Europa e Nordafrica, autore del libro ‘Ultras, gli altri protagonisti del calcio’.
«Esperienza e formazione»: i motivi che portano agli incidenti
«Il movimento ultras in Francia nasce negli anni Ottanta ispirandosi ai gruppi ultras italiani. Prima di allora non esisteva nessun tipo di tifo organizzato, eppure gli scontri o i disordini accadevano spesso». In questo periodo, però, in Francia si è tornati a sentirne parlare sempre più spesso, specialmente dalla riapertura degli stadi post pandemia: «Tanti episodi diversi. Invasioni di campo, sassaiole, scontri tra tifosi o lanci di bottigliette, o altri tipi di disordini. Mi viene in mente la finale di Champions del 2022 allo Stade de France, dove regnò il caos al momento dell’ingresso allo stadio dei tifosi inglesi».
Episodi diversi, eppure oltre alla violenza c’è un altro denominatore comune secondo Louis: «La pessima organizzazione della sicurezza. Dopo il Covid si è persa l’esperienza per l’organizzazione dei gruppi di sicurezza per queste manifestazioni. Poi, cosa succede? Dopo gli incidenti spesso si chiudono le curve, o gli stadi, oppure si vietano le trasferte. Anche questo inzialmente ha causato impreparazione quando poi le trasferte vengono nuovamente autorizzate. E infine, altra cosa importante: in Francia gli steward sono sottopagati e non hanno una vera formazione. In Francia, ma anche in Italia, questi ragazzi fanno gli steward per arrotondare lo stipendio, e hanno una formazione minima. Non è possibile avere studenti o persone che hanno bisogno di arrotondare per fare questo lavoro, che è un lavoro importante per la sicurezza negli stadi. Queste persone devono avere una formazione efficace e uno stipendio importante perché è un lavoro difficile e delicatissimo. Questo è molto importante da capire».
Poi c’è anche un fattore socioculturale: «La Francia è un Paese di persone che hanno nel dna la rabbia per scendere in piazza e manifestare il proprio malcontento. Lo dice la storia di tanti secoli fa e lo dice anche quella recente, con i ‘Gilet gialli’ o con le forti proteste per la riforma delle pensioni. La rabbia c’è. E lo stadio, come detto, è un po’ lo specchio della società».
Francia, popolo ribelle da sempre
Ok, ma perché allora tanti episodi in Francia? Sébastien Louis tiene a precisare che questi eventi ci sono purtroppo in tutta Europa. Basti pensare a Udinese-Napoli dello scorso anno o a ciò che è successo in Olanda qualche settimana fa, con i tifosi dell’Ajax che hanno interrotto definitivamente la partita con un fitto lancio di fumogeni e successivi scontri con le forze dell’ordine all’esterno dello stadio. Casi di violenza legati al calcio sono avvenuti anche in Svezia: lo scorso maggio, durante Djurgarden-AIK (derby di Stoccolma), un fitto lancio di fumogeni aveva fatto interrompere la partita, prima di successive invasioni di campo e scontri con la polizia.
Regola importante: mai generalizzare. Eppure, in Francia c’è un problema serio e in parte è dovuto anche al lato focoso dei francesi, popolo ribelle da sempre. Lo dice la storia di tanti secoli fa, ma anche quella di oggi, se si pensa agli ultimi casi dei ‘Gilet gialli’ o alle proteste per la riforma sull’età pensionabile. Poi lo stadio, si sa, è sempre un po’ lo specchio della società. E quindi, si arriva a questo.
Il problema della violenza negli stadi c’è da sempre
Secondo Louis, il problema è generale, non specifico: «In tutti gli stadi d’Europa, post pandemia, c’è stato un incremento del numero degli spettatori. Ovunque c’è stato un entusiasmo molto forte e abbiamo visto un po’ ovunque alcuni spettatori, tifosi o ultras che hanno superato i propri limiti. Ci sono stati tanti casi che fanno arrivare alla conclusione che lo stadio sia tornato un po’ quel posto da valvola di sfogo, dove la gente si lascia andare ad alcuni comportamenti che poi vengono ultramediaticizzati, perché il mondo di oggi è così e una notizia fa il giro del web in pochi secondi. Ma cose del genere, purtroppo, sono sempre successe. Dalle mie ricerche ho scoperto che il primo caso di violenza e incidenti in una partita di calcio risale al 1904». Quindi, il problema della violenza nasce ed esiste a prescindere dal tifo organizzato. È un problema socioculturale. Che ci auguriamo, quanto meno, che si possa arginare e provare a controllare sempre più. Non può esistere che più di sessantamila persone debbano lasciare lo stadio perché la partita è stata rinviata, per colpa di una manica di incoscienti.
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