di Giacomo Brunetti
Parliamo di due calciatori che nel tempo libero sono rispettivamente un dipendente di un’azienda di imballaggi e un ingegnere informatico. Perché il calcio nella loro vita è sempre stato davanti a tutto. Li hanno derisi ma loro hanno sempre voltato le spalle, godendosi il loro sogno in tutte le sfaccettature possibili. Tutto d’un fiato, senza perdersi un attimo per vivere quei momenti. Come quando il primo, professione attaccante, partì nella notte da Tallinn, per tornare a casa ed essere in tempo, il lunedì mattina, per coprire una collega in ferie. Loro sono Matteo e Aldo, rispettivamente l’attaccante e il portiere della Nazionale di San Marino.
Non siamo scarsi, lo dice pure Ibra
Mi hanno giurato che quando sono in campo davanti ai colossi del calcio mondiale tutto il timore reverenziale svanisce in un colpo di tacchetti. «Certo, quando nel tunnel di Wembley ho visto Rooney e Hart mi sono chiesto: ‘Ma io, esattamente, cosa ci faccio qui?’». Ok, a Londra ci arriveremo dopo, anche perché il riconoscimento più grande glielo ha riservato un altro campione.
«Giocavamo contro la Svezia – racconta Aldo – e loro erano già avanti di vari gol. Bacciocchi marcava Ibra e gli disse in italiano: «Andate piano che siamo scarsi’, scherzando. Ibra si girò, lo guardò e rispose: ‘Tu non devi dire che sei scarso, vi state battendo con onore’. Rimase di stucco, quando ce lo raccontò per noi valse come una vittoria».
Di sconfitte ne hanno accumulate tante: pensate che Aldo, nella sua carriera in Nazionale, ha subito 252 reti in 61 gare, una in meno di quelle disputate dal fratello gemello che gioca in difesa. I Simoncini sono un’istituzione sul Titano. Sconfitti ma non domati, come quando tutto Wembley si alzò in piedi per tributar loro una standing ovation all’uscita dal campo: «Se penso al calcio, penso a quel momento. Ottantamila persone in piedi per noi». Wembley stracolmo che applaude San Marino: «Siamo arrivati il giorno prima e avevamo l’albergo davanti all’impianto. Siamo andati a fare un giro intorno allo stadio – mi spiega Aldo – e ho letto i cartelli: ‘Sold Out’. E mi sono detto: ‘Macché davvero questi fanno il tutto esaurito con noi?’».
In un mondo bidimensionale
La vita del calciatore sammarinese non è composta solo da applausi, ma anche da rese. O meglio, da un’inferiorità accettata alla quale però non si deve dar modo di divampare nel cervello. La chiave per scendere in campo con la maglia biancazzurra è proprio quella: la testa. «Quando siamo sotto di due o tre gol non possiamo permetterci di mollare: a quei livelli gli avversari affondano il coltello quanto più possono. A fine carriera un gol contro di noi vale quanto un gol al Brasile», precisa Matteo. «Le prime volte da ragazzo ti senti scaraventato in un’altra dimensione. Ricordo che avevo 17 anni – continua – e affrontavamo la Repubblica Ceca: feci un contrasto con Ujfalusi, che all’epoca giocava nella Fiorentina. Sbattei per terra e mi sembrò di essere rimbalzato contro un muro. Poi con il passare degli anni ci fai l’abitudine e ti acclimati, all’inizio è scioccante».
Vitaioli quel giorno non c’era, Aldo invece sì. Era il 6 settembre 2006 e la Germania infliggeva a San Marino la sconfitta con il margine più ampio mai registrato nelle qualificazioni agli Europei: 0-13 all’allora Olimpico di Serravalle. Non è facile tornare a casa dopo una giornata del genere. «E chi se la scorda… era la mia seconda partita dal ritorno in campo. Cinque mesi prima avevo rischiato di smettere a causa di un incidente in auto. E invece ero lì, un mese e mezzo dopo aver iniziato la riabilitazione», mi dice Aldo con la voce di chi, quei momenti, li ha ancora impressi. «Avevo perso il conto. Io avevo affrettato i tempi del rientro ma l’Aldo del presente avrebbe subito gli stessi gol. La Germania è impressionante». La Gazzetta dello Sport titolò l’intervista con Simoncini: «Come prendere 13 gol in un colpo e vivere felice». Perché l’incidente avrebbe potuto portare conseguenze peggiori.
La stampa puntò i riflettori su San Marino, così come quando nel 2015 la storia la scrisse Vitaioli, stavolta in positivo: «È il rimpianto più grande della mia carriera». Il giorno dopo, davanti alla porta dell’azienda, la ressa di telecamere. Era lui l’eroe. «Giocavamo contro la Lituania. Alcuni giorni prima sfogliavo un libretto con le statistiche della Nazionale e dissi ai miei compagni: ‘Sono davvero pochi ad aver segnato almeno una rete, chissà se un giorno riuscirò anche io a entrare in questa classifica‘. Segnai il gol del pareggio, iniziai a correre – La Repubblica paragonò la sua corsa a quella di Fabio Grosso nel 2006 – e dopo pochi secondi mi ritrovai sommerso. Non realizzavo, mi rialzai e dissi: ‘Questa è la volta in cui scriviamo la storia’. Erano in 10, attaccavamo. Poi l’arbitro rimise in parità numerica la gara. Non demordemmo. Cademmo solo al 93′. Potevamo vincere, o pareggiare, e perdemmo».
L’Irlanda nel cuore
Aldo sta sviluppando un progetto insieme a un amico divenuto socio e probabilmente in ufficio appenderà una delle tante divise che custodisce in casa in una cesta e che fa indossare al figlio quando giocano in salotto. Lui e Matteo ammettono che le trasferte in Irlanda e in Irlanda del Nord sono state le più calde, dove il pubblico canta per 90 minuti e ti sembra di essere in un teatro sulle note di Freed from Desire. La partita da segnare sul calendario è però quella contro l’Italia: negli ultimi anni l’hanno affrontata due volte, prima a Bologna e poi a Empoli.
«Avevo sentito Giaccherini prima della gara», racconta Aldo, compagno di squadra di Giak a Cesena in Serie A. Il portiere, insieme alla bandiera Andy Selva, è stato uno dei pochi giocatori sammarinesi che negli ultimi anni si è affacciato al professionismo. «Il mister mi tolse al 45′, Buffon fu sostituito al 60′ per Sirigu. Volevo la sua maglia, non lo mollavo con lo sguardo. Rientrai in panchina dagli spogliatoi e appena l’arbitro fischiò la fine lo rincorsi. È l’unico calciatore con cui l’ho fatto. Arrivò Giak e mi chiese di scambiare la maglia davanti a Gigi. Gli risposi: ‘Mi capirai, ma per stavolta devo darla a lui’. Quando mio figlio la estrae dalla cesta ho ancora i brividi». Da Hart a Ter Stegen, tutti gli hanno stretto la mano: «I portieri è come se giocassero nella stessa squadra. Si mettono nei miei panni e capiscono cosa si prova. Portano rispetto». Le parate effettuate in Nazionale le ha tutte stampate nella mente, ma quella che ama di più è stata su Welbelck. E anche Rooney gli si avvicinò per i complimenti prima del calcio d’angolo.
Le Nazionali degli stati più piccoli stanno iniziando a ottenere risultati, da Andorra a Gibilterra. Per la Nazionale di San Marino le gioie devono ancora arrivare. L’unica vittoria risale al 2004, quando sconfisse Liechtenstein in amichevole. «Nei limiti studiamo gli avversari su palla inattiva, cerchiamo di sistemarci e vedere come si muovono. A livello di modulo sarebbe inutile: contro di noi tutti fanno cambiamenti più offensivi, tatticamente le immagini lasciano il loro tempo», spiega Matteo che nella sua esperienza è rimasto impressionato da Wesley Sneijder.
Con la mente sgombra per affrontare i campioni.