Eccomi qui, di nuovo, domenica sera.
Eccomi qui, steso sul divano, con la tuta di rappresentanza ancora addosso. Mi chiedo come mi sentirò quando arriverò all’ultima domenica da vivere così. Come sarà non dover pranzare con un po’ di grana e prosciutto crudo seguiti da una banana o una fetta di crostata? Come sarà andare a dormire il sabato sera senza il formicolio nella pancia per la battaglia del giorno dopo? Come sarà non dover preparare la borsa la domenica mattina? Come sarà non prendere la macchina e caricare quattro compagni pronti per la trasferta?
Non ne ho la più pallida idea. Se ci penso, mi deprimo. Proprio mentre scrivo ripenso alla sconfitta di oggi e mi incazzo. Per sbollire questa rabbia, minimo ci vorranno quattro giorni, e poi che noia domattina prendere il giornale e vederci in fondo alla classifica. Che noia anche dover indossare sempre quel maledetto quattordici e sedermi accanto al mister, cercando di incrociare il suo sguardo per farglielo capire. “Mister, sono pronto, ci sono, non ti deluderò. Ti prego dammi un’occasione”. Niente da fare, anche oggi zero minuti, raccolgo i parastinchi e i vestiti di chi è entrato a partita in corso, entro negli spogliatoi, mi siedo e mi fermo un attimo a guardarli: eccoli lì, i miei compagni, sporchi, sudati, incazzati. Li invidio, ma allo stesso tempo li adoro, se solo sapessero cosa sono per me, sono i miei fratelli. Non è retorica, è così, ho urlato per loro per due ore, li ho incitati, ho sperato che arrivassero primi su ogni pallone, ho sperato che vincessero ogni contrasto e che la buttassero dentro anche da posizione impossibile. Non ce l’hanno fatta, ma io davvero vorrei ringraziarli uno ad uno, perché senza di loro questa per me non sarebbe domenica, sarebbe solo una tristezza infinita. Vorrei anche chiedere scusa, vorrei averli aiutati in campo, ma non dipende da me.
Eccomi qui, a fine giornata. La tuta a dirla tutta non vorrei neanche togliermela, vorrei solo che domani fosse di nuovo domenica, e invece no, mi tocca aspettare fino a martedì per rivederli e passare la parte più bella della settimana con loro. I miei genitori e i miei amici mi dicono che sono matto, rinunciare al pranzo della domenica, rinunciare ad un weekend fuori con la mia ragazza, rinunciare al giorno di riposo, per quale motivo? Il motivo è che i matti sono loro, questa è la mia vita, lo è da quando avevo sette anni, e quel rettangolo verde, quello stronzo dell’allenatore che anche se non mi fa giocare è come fosse mio padre, quei diciassette imbecilli con cui passo le mie domeniche, sono tutto, semplicemente tutto. E la domenica è stata, è, e sarà sempre dedicata a loro, e non esiste giorno più bello di un giorno passato così.