Nicolò Zaniolo si racconta e lo fa ai microfoni di DAZN, nella rubrica ‘Piedi X Terra’ destinata ai giovani talenti del calcio italiano.
ESORDIO IN CHAMPIONS – «Contro il Real Madrid ho saputo che avrei giocato già al mattino. Il pomeriggio l’ho passato in camera, a letto, come paralizzato a guardare il soffitto”. “Al Bernabeu c’ero già stato, ma solo in gita. Nel tunnel ricordo che non riuscivo a vedere il campo, ma solo una distesa di maglie bianche e accanto a me avevo campioni come Ramos o Modric, non mi sembrava vero».
LA CHIAMATA IN NAZIONALE – «Ero a casa di amici per una pizza, mi ricordo che abbiamo acceso la tv e visto che ero tra i convocati di Mancini. Pensavo fosse un errore. Poi è arrivata la chiamata del team manager che mi comunicava che due giorni dopo avrei dovuto presentarmi a Coverciano. Mi sono messo a piangere, ho chiamato i miei genitori e anche loro si sono messi a piangere. Non ho dormito per due giorni e arrivato a Coverciano, sembravo un bimbo al luna park».
LA CRESCITA – «Nel mio percorso nelle varie giovanili, non sono mai stato il ragazzo di punta. Quello che si sapeva sarebbe arrivato, anzi. Sempre stato piccolo, mi sono sviluppato tardi. Ricordo che un giorno ero al bar di mio padre, a Spezia. Venivo da un rifiuto della Fiorentina, che mi aveva scartato per motivi tecnici ed ero nella Primavera dell’Entella. Non giocavo. Quattro partite e nemmeno un minuto in campo. Ricordo che iniziai a pensare: forse il calciatore non è la mia strada, forse le qualità per farlo non le ho, forse devo smettere. E ricordo anche, e lo farò per sempre, le parole di mio padre: fai un’ultima settimana a mille, non devi avere rimpianti. L’ho fatta e da lì è cominciata la risalita».
LE TAPPE DELLA CARRIERA – «Dopo qualche anno tra Spezia e Canaletto, la stessa squadra in cui ha iniziato Buffon, sono andato al Genoa. Ho fatto un anno da pendolare Spezia-Genova, poi sono dovuto andare via per problemi logistici: non esisteva un servizio che con un pulmino mi portasse avanti e indietro. La Fiorentina invece quel servizio ce l’aveva: uscivo 10 minuti prima da scuola. Alle 13.10 partivo per Firenza da Spezia e tornavo a casa alle 21. Così ogni giorno per tre anni, fino ai 14, quando sono andato in convitto con i ragazzi che venivano da fuori».
LE CRITICHE – «Fanno male, è brutto passare da essere osannato a essere un esempio negativo. Non ci sono stato bene quest’anno, ma anche questo mi è servito a crescere, oggi sono più costante in campo e ho le spalle un po’ più larghe anche per quelle critiche».
LA MAGLIA AZZURRA – «La prima Nazionale che ricordo è quella del 2006. Ricordo che ero in vacanza in Francia insieme ai miei genitori. Il giorno della finale mangiammo al Mc Donald. Al gol di Materazzi esultai in faccia ai francesi. Non la presero benissimo».
LA SCARAMANZIA – «Prima della partita non faccio niente di particolare, l’unica cosa è baciare il parastico sinistro, quello con la foto di mia sorella».