Lo Zorya ha giocato “in casa” a più di mille chilometri dalla sua città. Il bello è che ha anche vinto, un gol al Craiova per sognare i playoff di Conference League in una situazione surreale, sofferta. Lo Zorya Luhansk è la squadra di Zaporizhya, città occupata dai russi dopo l’invasione dell’Ucraina. Si racconta che le truppe di Putin abbiano minato la centrale nucleare, che tengano 40 tecnici in ostaggio e che i soldati ucraini – a cinque chilometri dai reattori, dall’altra parte del fiume – non sparino per paura di sbagliare bersaglio. Cronaca, anche se le informazioni sono divergenti. Gli ucraini incalzano, accusano, e i russi smentiscono. Quattro reattori su sei sarebbero spenti, tra l’altro.
Camion e furgoni allo stadio
In pallone rotola attraverso tutto ciò. Lo Zorya ha giocato l’andata del primo turno di Conference a Lublino, in Polonia, e l’11 agosto andrà in Romania per il ritorno. C’è in ballo un posto nei playoff. Un risultato che avrebbe dell’incredibile, anche perché le squadre ucraine non giocavano un match ufficiale da diversi mesi. Il campionato ripartirà il 23 agosto in un clima di incertezza e preoccupazione. Nel Donbass e a Luhansk ovviamente non si può giocare, ma a Zaporizhya sono tristemente abituati. Lo Zorya non vede lo stadio di casa dal 2014. A marzo, sui social, poco dopo lo scoppio del conflitto, è apparso un video in cui si vedono furgoni e camion sul terreno di gioco. Gli ultrà del Metalurg Zaporizhya, squadra di seconda divisione, hanno riempito l’impianto di mezzi simili per impedire a eventuali paracadutisti di atterrare dentro lo stadio. Non si hanno notizie di come si oggi la Slavutych Arena.
Gli ultrà in pericolo
Qualche mese fa un tifoso dello Zorya ha raccontato a L’Equipe che in caso di occupazione russa quelli come lui «saranno uccisi». Dice che «i servizi segreti hanno liste di proscrizione». Molti ultrà, del resto, fanno parte dei gruppi filo nazisti presi di mira da Putin. Quando il leader russo ha parlato di «denazificazione» dell’Ucraina ce l’aveva con loro, frange di estrema destra radicate – e nate – nel mondo ultrà dopo la guerra nel Donbass. In prima linea scendono tutti. Ci sono i tifosi dell’Arsenal Kiev, antifascisti da sempre, una “A” a forma di stella come simbolo e un presente difficile. Dal 2019 non hanno più una squadra da tifare, sono rimaste solo le giovanili. Colpa dei debiti. Curioso il caso del Metalurg Zaporizhzhia, salvato da una colletta dei tifosi nel 2017. Il capo cordata, Andriy Bohatchenko, gestiva una pizzeria, poi si è buttato nel pallone e ha ripreso il club per i capelli. Anni prima aveva fondato un club con l’azionariato popolare.
Fare calcio in guerra
Lo Zorya prova a portare avanti il suo progetto. A luglio ha cambiato allenatore: via Viktor Skrypnyk e dentro l’olandese Patrick van Leeuwen, uno dei cinque tecnici stranieri del campionato. Gli altri sono il romeno Mircea Lucescu (Dinamo Kiev), il croato Igor Jovićevic (Shakhtar Donetsk), e i bielorussi, Leonid Kuchuk (Rukh Lviv) e Oleg Dulub (FC Lviv). Quasi tutti i calciatori della rosa sono ucraini, eccezion fatta per il brasiliano Cristian (in campo da titolare contro il Craiova) e il ghanese Owusu. Il presidente, Yevhen Heller, imprenditore nel campo dei metalli, è stato parlamentare per quasi dieci anni. Dal 2009 tiene le redini del club, arrivato tre volte ai gironi di Europa League e una di Conference, dove ha giocato e perso contro la Roma (2021-22). I risultati migliori restano le due finali di Coppa perse nel 2016 e nel 2021, oltre a tre terzi posti. Difficile fare calcio dove c’è la guerra, ma il pallone rotola ancora.